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E così, dal 18 maggio, avrà ufficialmente inizio la Fase 2 anche per il mondo della cultura. Non per tutti i settori, visto che sale teatrali e cinema rimarranno ancora chiusi, ma musei e mostre potranno riaprire. Facile a dirsi, non altrettanto a farsi, almeno per qualcuno. A far valere le proprie ragioni sulla politica della riapertura, sulle modalità e sul tempismo, è Iole Siena, presidente del Gruppo Arthemisia: «L’apertura del 18 maggio può valere solo per alcuni musei pubblici – posto che possano garantire le misure di sicurezza in tempi così rapidi – o per mostre sostenute con fondi pubblici, per cui ci si può appellare al servizio pubblico, o per alcune mostre già aperte prima della crisi, che possono essere prorogate se si prevede la sostenibilità economica».
Insomma, se già le misure di lockdown avevano fatto discutere, la riapertura non sarà da meno. Magari avrebbe aiutato una presa di posizione chiara e precisa da parte del Mibact, come spesso abbiamo scritto, ma i giorni passano e le direttive latitano anche se, in circostanze del genere, il tempismo è tutto.
Le difficoltà endemiche delle grandi mostre
Arthemisia è uno dei leader del settore dell’organizzazione delle grandi mostre e nella gestione dei servizi dei musei, tra i quali, la gestione degli 11 bookshop di Fondazione Musei Civici di Venezia. Istituita nel 2000, la società ha organizzato a oggi circa 700 esposizioni in Italia e all’estero, in collaborazione con partner privati e istituzioni pubbliche. Tra le mostra attualmente aperte – e chiaramente non visitabili – una collettiva dedicata alla figura di Pinocchio nell’arte, a Villa Bardini di Firenze, una mostra dedicata ad Antonio Canova a Palazzo Braschi di Roma, e una retrospettiva su Escher, a Trieste. Si tratta di mostre di vario livello e rivolte a un target molto eterogeneo ma tutte accomunate da un fattore: un pubblico decisamente numeroso. Per esempio, nel caso della mostra degli “Impressionisti segreti” a Palazzo Bonaparte di Roma che, a febbraio 2020, prima delle misure di emergenza a causa della diffusione del Covid-19, era stata prorogata fino al 3 maggio.
«Il settore delle mostre d’arte è uno dei più colpiti per due motivi: il primo è perché vive soltanto sugli incassi delle biglietterie, che sono di fatto bloccate dalla metà di febbraio; il secondo è che i costi delle mostre si sostengono al 95% prima dell’apertura, mentre i ricavi sono tutti successivi. Quindi, cosa è successo con la chiusura improvvisa? Le imprese si sono trovate con tutti i costi delle mostre aperte o in apertura ma senza incassi. E considerando i costi non proprio contenuti delle mostre…si parla di qualche milione di euro», ha continuato Iole Siena.
Insomma, grandi mostre, grandi investimenti, grandi numeri e lunghe file che, come è ovvio, non potremo rivedere se non tra molto tempo, visto che assembramenti in luoghi chiusi e spostamenti tra Regioni saranno presumibilmente vietati ancora per un bel po’.
Riapertura a maggio? Parliamo prima del sostegno alle imprese
«In questo momento, con i contagi e la paura ancora diffusi, significherebbe aprire per (forse) pochissime persone al giorno. Il pubblico delle mostre è composto per il 10% dal pubblico scolastico (escluso in questa fase), per il 40% dal pubblico dei gruppi (escluso in questa fase), per il 15% dal pubblico di turisti (escluso in questa fase), per il 15% dal pubblico over 65 anni (escluso in questa fase). Rimane un 20% del cosiddetto “pubblico singolo” che, se anche volesse andare alle mostre, non consentirebbe in alcun modo di coprire le spese», ha motivato Siena.
«Con le necessarie misure di sicurezza, potrà entrare una persona ogni 5 minuti, quindi al massimo 120 persone al giorno, con un incasso medio di circa 1.200 euro al giorno. Il costo giornaliero medio di una mostra, considerando il personale di vigilanza e di biglietteria, le assicurazioni, gli affitti, le pulizie, ecc., si aggira intorno ai 6mila euro. È evidente che sarebbe del tutto antieconomico».
«Nessun operatore privato coscienzioso potrà operare in tempi così rapidi, visti i presupposti di cui sopra. Aprire una mostra tra qualche settimana sarebbe antieconomico e rischioso per la salute di chi lavora e di chi visita, aumenterebbe il rischio delle perdite già certe e andrebbe quindi a peggiorare una situazione già molto compromessa», ha precisato Siena. Ma prima o poi si dovrà riaprire e quindi, come fare?
Secondo Siena, «Prima si deve affrontare il tavolo dei sostegni alle imprese della cultura, poi si devono mettere a punto le misure di sicurezza avendo il tempo di testarle, e poi si possono annunciare le riaperture in maniera sensata e univoca, mettendo tutti nelle stesse condizioni di operare, anche per correttezza di mercato. Il tempo giusto per riaprire, a mio parere, è ottobre 2020 – con 5 mesi di lavoro preparatorio –ovviamente sperando che non riparta l’epidemia». A quel punto, sarà tutto da rifare. E forse sarà necessario ripensare anche a un certo concetto di mostra.