La guerra tra Israele e Hamas che sta devastando la Palestina sembra essere arrivata a un punto di svolta, con la proroga della tregua, negoziata dal Qatar con il sostegno di Egitto e Stati Uniti, per consentire il rilascio di 50 ostaggi israeliani detenuti nella Striscia di Gaza e di 150 palestinesi imprigionati in Israele. Ma il portato del conflitto, oltre alle migliaia di vittime mietute fino a ora e alle radicali conseguenze sullo scacchiere geopolitico, sta avendo dei risvolti profondi anche nel sistema dell’arte e della cultura internazionale. Con una particolare recrudescenza in Germania. Se nelle scorse settimane abbiamo seguito la tormentata vicenda di documenta, la manifestazione d’arte contemporanea più importante al mondo che si tiene ogni cinque anni a Kassel, conclusasi con le dimissioni di tutto il comitato di selezione delle proposte curatoriali della prossima edizione, questa volta nei guai c’è la Biennale für aktuelle Fotografie. L’edizione in programma a marzo 2024 della manifestazione dedicata alla fotografia contemporanea è stata infatti cancellata, a seguito delle accuse di antisemitismo avanzate a un dei curatori.
Come riportato da The Art Newspaper, Shahidul Alam, fotogiornalista di origini bangladesi e co-curatore della Biennale di fotografia, avrebbe postato sui Social Network un contenuto nel quale si paragonava l’assalto di Israele a Gaza all’olocausto, accusando così il governo di Benjamin Netanyahu di genocidio contro il popolo palestinese. Le autorità di Mannheim, Ludwigshafen e Heidelberg, le tre città nelle quali si svolge la Biennale für aktuelle Fotografie, hanno dichiarato che la loro «Relazione di fiducia» con Alam è stata seriamente compromesso dopo i suoi post sui Social.
Secondo le ricostruzioni, gli organizzatori delle città ospitanti avrebbero contattato Alam, così come gli altri due curatori, Tanzim Wahab, ricercatore e docente, e il fotografo Munem Wasif, anche essi di origini bangladesi, per discutere insieme dei post e sensibilizzare sulla «Particolare responsabilità storica della Germania nei confronti dello Stato di Israele e del suo diritto a esistere». Ma Alam avrebbe continuato a condividere la sua visione sui Social, portando così a una spaccatura insanabile. Di conseguenza, anche Wahab e Wasif hanno deciso di ritirarsi dall’organizzazione.
«Le conseguenze dell’annullamento della Biennale für aktuelle Fotografie sono di vasta portata», hanno affermato gli organizzatori. «Mettono a repentaglio il futuro dell’evento. Faremo tutto ciò che è in nostro potere per mantenere la Biennale come uno degli eventi fotografici più grandi e importanti in Germania e in Europa nel lungo termine». Peraltro, il futuro della Biennale era già in bilico per il ritiro della sponsorizzazione della BASF, compagnia chimica tedesca tra le più grandi al mondo.
Se in Germania, contando anche il caso della Fiera del Libro di Francoforte, l’ambiente culturale è ormai radicalizzato tra posizioni opposte e apparentemente insanabili, anche negli Stati Uniti le proteste stanno divampando, mettendo in evidenza dei casi eclatanti di filantropia tossica. Qualche settimana fa la grande fotografa Nan Goldin – che già figurava tra i firmatari della lettera di cessate il fuoco e contro l’occupazione della Palestina – ha annullato un progetto per il New York Times, accusando il giornale di una tendenza spudoratamente filo-israeliano nei suoi servizi sulla guerra a Gaza. In questo ultimo fine settimana, inoltre, molte istituzioni di New York, dal Whitney Museum of American Art all’American Museum of Natural History, sono state l’epicentro di proteste a favore del cessate il fuoco, organizzate da manifestanti filo-palestinesi. Azioni tanto più significative in quanto si festeggiava il weekend del Giorno del Ringraziamento, quest’anno caduto il 23 novembre.
Già il 22 novembre, l’ingresso principale del Whitney è stato spruzzato di sangue finto, al grido di «Ken Griffin è un terrorista», riferendosi al membro del consiglio del Whitney che ha recentemente condannato i gruppi studenteschi filo-palestinesi dell’Università di Harvard. Secondo Forbes, Griffin ha donato 450 milioni di dollari ad Harvard negli ultimi dieci anni ma ha minacciato di tagliare i legami filantropici con l’università in risposta a una lettera pubblicata da attivisti studenteschi critici nei confronti di Israele.
La manifestazione al Whitney è coincisa con una marcia per Gaza a Manhattan, durante la quale i manifestanti hanno percorso il lato ovest, per avvicinarsi alla High Line, il parco pubblico d’arte contemporanea sui binari in disuso della metropolitana. La polizia ha impedito alle persone di entrare ma in un video pubblicato sui social media da WOL – Within Our Lifetime, un’organizzazione guidata dai palestinesi, mostra i gradini del museo e la porta d’ingresso girevole cosparsi di vernice rossa.
Sabato, 25 novembre, centinaia di manifestanti filo-palestinesi si sono riuniti a Columbus Circle e hanno marciato verso nord fino a raggiungere il Museo Americano di Storia Naturale.Altre proteste hanno coinvolto la New York Public Library, dove è stato imbrattato il nome di Stephen A. Schwarzman, inciso sulla facciata. Amministratore delegato della società di investimenti Blackstone, Schwarzman ha donato 100 milioni di dollari alla biblioteca nel 2008 per i lavori di ristrutturazione e a ottobre ha promesso 7 milioni di dollari per aiutare Israele.
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