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Hermès contro gli NFT di MetaBirkins: il tribunale dà ragione al brand di moda
Attualità
di redazione
L’eterna lotta per il diritto d’autore è diventata ancora più epica: la giurisprudenza deve fare i salti mortali per seguire le evoluzioni del tempo, nell’epoca dei contenuti virali e delle immagini digitali. Dopo la querelle che ha visto opporsi Getty Images, gigante del mercato delle immagini stock, e Stable Diffusion, l’intelligenza artificiale in grado di generare immagini, un altro caso scuote le aule. Il brand del lusso Hermès ha infatti ottenuto una vittoria in tribunale su un artista digitale, Mason Rothschild, autore di un’opera NFT intitolata MetaBirkin.
Il riferimento, decisamente esplicito, è alla Birkin, iconica borsa di Hermès nata nel 1984, durante un volo Parigi-Londra, da una richiesta dell’attrice inglese Jane Birkin a Jean-Louis Dumas, allora presidente della casa di moda. Per il suo progetto, Mason Rothschild ha reinterpretato le borse firmate, applicandovi – sempre virtualmente, si intende – una pelliccia sintetica tinta di vari colori, un’idea che, come si legge sul sito MetaBirkin, è stata «Ispirata dall’accelerazione delle iniziative di moda “fur free” e dall’adozione di tessuti alternativi». Rothschild ha così coniato 100 NFT Non-Fungible Tokens, ognuno in vendita per una cifra molto eterogenea. Attualmente, sono disponibili sulla piattaforma Looksrare, con una forbice di prezzo molto ampia, dai 2 ETH, circa 4mila dollari, ai 100, corrispondenti a più di 160mila dollari.
Già nel dicembre 2021, Hermès aveva inviato all’artista una lettera di diffida e i MetaBirkins furono rimossi dal mercato di OpenSea nello stesso periodo. Un disclaimer sul sito di MetaBirkins avvisa che il progetto non è in alcun modo affiliato a Hermès ma, negli atti depositati in tribunale, il brand ha affermato che l’avviso in realtà ha peggiorato le cose usando il nome del marchio e inserendo un collegamento al sito della casa di moda.
Dunque, in questi giorni, un tribunale distrettuale federale di Manhattan ha emesso un verdetto contro l’artista, stabilendo una violazione di MetaBirkins sul marchio Birkin, regolarmente posseduto da Hermès. La giuria non solo ha assegnato alla casa di moda un risarcimento di 133mila dollari per i danni ma, elemento ancor più significativo e da “giurisprudenza”, ha anche scoperto che gli NFT dell’artista non possono essere considerati protetti dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, atto che riguarda, tra l’altro, la libertà di parola e di stampa e, quindi, di diffusione. Per la Giuria, insomma, il progetto di Rotschild non possedeva sufficiente “rilevanza artistica” per essere considerato meritevole di “libertà di parola”. «Una Grande giornata per i grandi marchi. Una giornata terribile per gli artisti e il Primo Emendamento», ha dichiarato il legale dell’artista, Rhett Millsaps.
Il caso ha avuto una certa risonanza poiché si tratta di uno dei primi esempi di come gli NFT, che sono esplosi negli ultimi anni, potrebbero essere considerati nel contesto – a dire la verità, sempre piuttosto fumoso – delle leggi sul copyright. In sostanza, la questione è sempre la stessa: si tratta di opera d’arte, quindi di un campo in cui il limite tra copia e originale non solo è labile ma anche pericoloso, o di oggetti, dunque cose inserite in un sistema di valori, consuetudini e leggi saldamente vincolate? Nel caso specifico, il problema, che poi è ricorrente in questo tipo di dibattiti, è stabilire se l’imputato stia facendo o meno un uso artistico del marchio.
«Una casa di moda di lusso multimiliardaria che afferma di “prendersi cura” dell’arte e degli artisti, ma sente di avere il diritto di scegliere cosa sia l’arte e chi sia un artista. Non per quello che creano, ma perché nel loro CV non si dichiarano artisti con un pedigree proveniente da una scuola d’arte di livello mondiale. Questo è quello che è successo oggi», ha commentato Rothschild.