Il mondo dell’arte si stringe intorno al dramma che da settimane strazia la Palestina, in una lettera che chiede di cessare la violenza indiscriminata e l’oppressione perpetrata da Israele nei territori della Striscia di Gaza. Il testo è stato pubblicato il 19 ottobre dalla rivista «Artforum», per manifestare piena solidarietà nei confronti del popolo palestinese. Tra i firmatari e le firmatarie spiccano nomi ben noti: Barbara Kruger, Jeremy Deller, Brian Eno, per citarne solo alcuni. La lettera aperta fa rapidamente il giro del mondo e, in poco più di ventiquattr’ore, altri si uniscono alla causa fino a raggiungere le ottomila adesioni. La condanna della violenza si accompagna alla richiesta rivolta ai governi internazionali di non rendersi complici dei crimini di guerra, e all’appello rivolto alle istituzioni culturali di tutto il mondo di non restare inerti rispetto a un tema così delicato. Perché il silenzio non è affatto una posizione neutrale.
Dopo l’operazione estremista dei miliziani di Hamas contro Israele del 7 ottobre, il governo israeliano ha ordinato l’assedio totale della Striscia di Gaza, tagliando le forniture d’acqua, energia elettrica, cibo e carburante per i palestinesi, e rispondendo al lancio dei missili con una vigorosa potenza di fuoco e bombardamenti ininterrotti. Il numero delle vittime e dei feriti è in costante aumento, e gli aiuti non sono sufficienti per fronteggiare la crisi umanitaria.
Davanti a questo panorama sconfortante, il mondo dell’arte si è unito per denunciare la situazione. La lettera aperta fatta circolare online si esprime chiaramente: «Supportiamo la liberazione della Palestina, e chiediamo la fine delle uccisioni e dei danni arrecati ai civili, l’immediato cessate il fuoco, il passaggio degli aiuti umanitari a Gaza, e la fine della complicità dei nostri governi nelle gravi violazioni dei diritti umani e nei crimini di guerra». Nel testo sono citati i report delle ONG che condannano le azioni violente di Israele, che da anni viola le leggi internazionali per imporre un regime di apartheid sui territori palestinesi (come dichiara Amnesty International), e che ora, in una tremenda escalation, ha già intrapreso 3 dei 5 atti riconosciuti dalla Convenzione sul Genocidio delle Nazioni Unite. «Noi, i firmatari, rifiutiamo la violenza contro tutti i civili, a prescindere dalla loro identità, e chiediamo di porre fine alla causa principale della violenza: l’oppressione e l’occupazione».
Artist*, scrittor*, curator*, filmmakers e, in generale, professionist* del mondo della cultura si sono ritrovati sotto lo stesso documento Google per esprimere solidarietà nei confronti del popolo palestinese. Chiedono poi che le organizzazioni e le istituzioni di settore facciano altrettanto, poiché la loro «missione è proteggere la libertà di espressione, promuovere l’istruzione, il senso di comunità, la creatività». Proprio in nome di questi valori, i luoghi dell’arte sono stati teatro di denunce contro le ingiustizie degli ultimi anni, manifestando vicinanza nei confronti del popolo ucraino, o delle donne in Iran. Si domanda dunque di esprimere la medesima sensibilità anche in questo caso, invitando a rifiutare la disumanità «che non trova posto nella vita o nell’arte».
Il form su Google si è chiuso, e in calce si leggono alcune delle prime firme raccolte. Impossibile non notare i nomi di Silvia Federici, Judith Butler, Paul B. Preciado, Tania Bruguera, Kara Walker, Emil Jacir. Su «Artforum» l’elenco si espande fino a 4000 nomi. Intercettiamo così anche l’adesione di Lucia Pietroiusti, Diego Marcon, Joan Jonas, Adelita Husni Bey e tanti altri ancora. Una lunga lista che dimostra una solidarietà tanto attesa, in risposta al profondo senso di abbandono che la comunità palestinese sta vivendo. La lettera si conclude con l’invito a donare per fornire aiuti umanitari in Palestina e a «continuare questa importante conversazione pubblicamente, sia dentro che fuori le istituzioni culturali», perché ci riguarda profondamente tutti e tutte.
La lettera a sostegno della Palestina non è rimasta inascoltata. Per la giornata del 20 ottobre l’Institute of Contemporary Arts di Londra ha aderito alla protesta con uno sciopero che ha chiuso le porte dello spazio culturale. Sul loro sito, la motivazione della chiusura: «Come artisti e operatori culturali che hanno già amplificato le voci palestinesi nei programmi di attività, sosteniamo i palestinesi e supportiamo la loro liberazione. Come lavoratori, chiediamo all’ICA e alle altre organizzazioni culturali nel Regno Unito di boicottare, non investire e sanzionare i movimenti che fanno della cultura uno strumento di propaganda di Israele».
Anche in Italia si sono unite alcune voci. Su tutte, quella di Art Workers Italia, che su Instagram esprime vicinanza alla causa, e condivide un prezioso elenco di articoli, podcast, associazioni e profili che riguardano il tema. L’obiettivo è quello di incoraggiare un’informazione più consapevole, lontana dai ritmi incalzanti dei social e dal sensazionalismo mediatico. Perché, come scrivono, «non c’è cultura senza diritti».
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