03 gennaio 2025

Il poster di Ozmo per Cecilia Sala e la strage dei giornalisti a Gaza

di

Con il suo poster sulla prigionia di Cecilia Sala, Ozmo evidenzia il pericolo globale per la libertà di parola: a Gaza, la morte di numerosi giornalisti testimonia quanto sia difficile e vitale raccontare i fatti

Il caso di Cecilia Sala, la giornalista detenuta in isolamento nel carcere di Evin, in Iran, dal 19 dicembre 2024, scuote anche il mondo dell’arte: è stato Ozmo a prendere la parola, con una nuova opera realizzata il 30 dicembre su un muro nel centro di Parigi, città dove lo street artist italiano vive e lavora. Nell’opera, realizzata con l’intelligenza artificiale, si vede Sala seduta a terra, con i polsi in catene e con un cerotto sulla bocca. Nella capitale francese, così come in Italia e in altri Paesi, Ozmo ha realizzato opere di arte pubblica, mostre in istituzioni museali e gallerie private, oltre a interventi di street art volti al dialogo e all’inclusione. Le sue creazioni affrontano spesso tematiche politiche ed ecologiche legate all’attualità.

Il 19 dicembre 2024, Cecilia Sala è stata arrestata in un albergo di Teheran, in Iran, dove si trovava con un visto giornalistico per lavorare a nuove puntate del podcast Stories. In precedenza aveva già raccontato, tra le altre cose, la realtà del patriarcato e la repressione del dissenso nel Paese. La notizia dell’arresto è stata resa nota il 27 dicembre successivo dal Ministero degli Esteri italiano, in occasione della visita dell’ambasciatrice d’Italia a Teheran Paola Amadei alla giornalista, detenuta presso la prigione di Evin, struttura nota per accogliere oppositori politici e cittadini stranieri.

Tre giorni prima, il 16 dicembre, era stato arrestato in Italia, su richiesta degli Stati Uniti, l’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, accusato di avere fornito materiale ai pasdaran. Il 30 dicembre, l’agenzia di Stato iraniana IRNA ha confermato ufficialmente il fermo di Sala, citando un comunicato del Dipartimento generale dei media esteri del Ministero della Cultura e dell’Orientamento islamico, in cui si riferiva che la giornalista era stata bloccata con l’accusa di «Aver violato le leggi della Repubblica islamica dell’Iran».

La vicenda ha immediatamente assunto rilevanza politica. Il primo gennaio 2025, il Ministero degli Esteri italiano ha richiesto alle autorità iraniane «Piene garanzie sulle condizioni di detenzione di Cecilia Sala» e la sua «Liberazione immediata». Nella giornata di ieri, 2 gennaio, a Palazzo Chigi si è svolto un vertice di urgenza con la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha ammesso che il rilascio della giornalista «Non dipende da noi». In occasione dell’incontro, al quale hanno partecipato anche il Ministro della Giustizia Carlo Nordio, il Sottosegretario Alfredo Mantovano e il Consigliere diplomatico Fabrizio Saggio, Meloni ha ricevuto la madre di Sala, Elisabetta Vernoni.

Nel testo in francese che accompagna il manifesto, affisso nei pressi del Teatro La Colline, a poca distanza dal cimitero di Père-Lachaise, si chiarisce l’intento di «Portare alla luce una situazione grave e spesso trascurata». Con l’immagine di Cecilia Sala, Ozmo non ha inteso solo rappresentare una vittima, ma ha anche voluto evocare una presa di coscienza collettiva. «Ho pensato questo intervento per sensibilizzare il pubblico francese e internazionale sulle violazioni dei diritti umani cui Cecilia è sottoposta», ha spiegato l’artista all’ANSA. «La mia opera denuncia una realtà di prigionia, con l’immagine di una persona ammanettata e privata della parola, come simbolo della condizione di Cecilia e di tanti altri oppositori dei regimi autoritari. Non è un’immagine rassicurante, ma un grido d’allarme».

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Ozmo (@ozmone)

Al 20 dicembre 2024, le indagini preliminari del CPJ – Committee to Protect Journalists, organizzazione indipendente con sede a New York e impegnata nella difesa della libertà di stampa dei i diritti dei giornalisti in tutto il mondo, hanno evidenziato che almeno 146 giornalisti e operatori dei media sono stati uccisi a Gaza, in Palestina, in Cisgiordania, in Israele e in Libano dall’inizio della guerra, a partire dall’ottobre 2023. Si tratta del bilancio – ancora provvisorio – tragicamente più alto da quando il CPJ ha iniziato a raccogliere dati, nel 1992. Il CPJ sta indagando su oltre 130 casi aggiuntivi di potenziali uccisioni, arresti e ferimenti, molti dei quali difficili da documentare.

Il Sindacato dei giornalisti palestinesi ha registrato più di 190 uccisioni di giornalisti e operatori dei media, dall’inizio dell’invasione israeliana. L’ultimo caso confermato è avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 2024, quando cinque giornalisti palestinesi sono rimasti uccisi durante un attacco aereo israeliano all’esterno dell’Al-Awda, un ospedale situato nel campo profughi di Nuseirat, nel centro di Gaza. I cinque reporter lavoravano per il canale televisivo Al-Quds Today e stavano documentando le condizioni all’interno del campo.

«Da quando è iniziata la guerra a Gaza, i giornalisti hanno pagato il prezzo più alto, la vita, per i loro reportage. Senza protezione, equipaggiamento, presenza internazionale, comunicazioni, cibo e acqua, continuano a svolgere il loro lavoro cruciale per dire al mondo la verità», ha affermato il direttore del programma CPJ, Carlos Martinez de la Serna. «Ogni volta che un giornalista viene ucciso, ferito, arrestato o costretto all’esilio, perdiamo frammenti di verità. I ​​responsabili di queste vittime affrontano un doppio processo: uno secondo il diritto internazionale e un altro sotto lo sguardo spietato della storia».

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui