Mentre inizia a delinearsi con sempre maggiore chiarezza il panorama della 59ma Biennale d’Arte di Venezia, dopo la nomina di Cecilia Alemani a curatrice, la 58ma edizione ha ancora qualcosa da dire. Il classico cauda venenum con recriminazioni, lamentele e rimpianti? Tutt’altro. La sorpresa riservata per la chiusura dei giochi e comunicata con ottimo tempismo, a ridosso dell’elezione di Roberto Cicutto a nuovo presidente della Biennale di Venezia, ha il valore di 120mila euro, che saranno utilizzati per la progettazione di migliorie strutturali per il Padiglione Italia all’Arsenale di Venezia.
A tanto ammonta la cifra avanzata dal budget messo a disposizione, per la realizzazione del progetto, dalla Direzione Generale Creatività contemporanea e Rigenerazione urbana del Mibact e da diversi sostenitori privati, come i main sponsor Gucci e FPT Industrial, il main donor Nicoletta Fiorucci Russo, gli sponsor tecnici Gemmo, C&C Milano, Select Aperitivo e tutti gli altri donors, tra i quali molti nomi noti nel panorama dell’arte contemporanea, come Spada Partners, Beatrice Bulgari per In Between Art Film, Mario Nuciforo per Gluck50, Martin Hatebur e Peter Handschin, Luigi Maramotti, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Andrea Zegna, Oliver e Mala Haarmann, Rika e Dirk Hamann, Berlin, Maja Hoffmann, Studio Legale Giuseppe Iannaccone e Associati, Emmy e Danny Lipschutz Tawil, Frances Reynolds per Instituto Inclusartiz, Muriel e Freddy Salem, Andrea e Francesca Viliani con Gino e Antonella Viliani, Fabio Cherstich, Nadia e Rajeeb Samdani, Antonio e Carla Sersale.
«La gestione oculata del budget a disposizione ha permesso di dare forma a un Padiglione Italia ambizioso, curato in ogni suo singolo dettaglio, trasformandolo in una struttura labirintica, grazie alla quale i profili architettonici originali dello spazio apparivano completamente mascherati. Il dispositivo espositivo così concepito permetteva, negli intenti del curatore, di risaltare al massimo le opere degli artisti invitati e far coesistere più mostre nello stesso momento, accessibili tramite percorsi molteplici», spiegano dalla Biennale. E la notizia non è affatto scontata, in una Biennale in cui il Leone d’oro, cioè il Padiglione lituano, ha dovuto fronte alla scarsa disponibilità di fondi, insufficienti per sostenere i costi delle performance che avrebbero dovuto animare ogni giorno l’installazione. Ma in queste parole i più maliziosi leggeranno una sorta di excusatio (non?) petita nei confronti delle critiche rivolte alla “presenza” curatoriale che, secondo molti commentatori – qui un nostro ampio approfondimento sul tema – risultava eccedente rispetto alle opere di Enrico David, Chiara Fumai e Liliana Moro.
Ed è stato proprio il curatore Milovan Farronato a farsi portavoce del generoso coup de théâtre, chiedendo che l’intera somma fosse destinata all’apporto di migliorie alla struttura dello stesso Padiglione Italia all’Arsenale. Sarebbe quantomeno una amena curiosità sapere dove, come e perché sarebbero finiti questi soldi in caso contrario, ovvero, per quale voce erano stati messi in conto. Ma non è nosta abitudine alimentare sterili polemichette, in fondo si tratta di una buona causa. «Sono molto felice di annunciare che il Padiglione Italia alla Biennale Arte 2019 non rimarrà solo un episodio iscritto nella storia della partecipazione del nostro Paese a questa illustre rassegna internazionale, ma la sua eredità contribuirà alla crescita dell’Istituzione, fondamentale e imprescindibile per lo sviluppo delle arti e delle culture contemporanee», ha dichiarato Farronato. E a un’offerta così munifica, la Direzione Generale non ha potuto che rispondere con un sentitissimo apprezzamento. Sipario chiuso. Fine.
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