Categorie: Attualità

Il riconoscimento del diritto d’autore per l’Intelligenza Artificiale: il parere legale

È corretto qualificare un’immagine digitale come opera dell’ingegno? La legge n. 633/1941 sul diritto d’autore afferma, al primo comma dell’art. 1, che si ritengono protette le opere dell’ingegno avente carattere “creativo”. Il concetto di creatività si estrinseca attraverso le componenti di originalità e novità: la prima si riferisce alla necessità che il prodotto in questione risulti un’elaborazione dell’artista coinvolto e che ne esprima la personalità; la seconda, invece, concerne gli elementi essenziali e caratterizzanti l’opera, che devono consentire di distinguerla in maniera oggettiva da quelle già esistenti.

A questo punto occorre chiedersi se possa essere accordata tutela all’autore di un’opera nel caso in cui quest’ultimo si sia servito dell’ausilio di un software e, dunque, se il contributo alla realizzazione della stessa da parte di un algoritmo infici – positivamente o negativamente – sul requisito della creatività. La questione risulta centrale anche alla luce di un recente caso, il quale vede protagonisti il Festival della canzone italiana (più comunemente conosciuto come Festival di Sanremo) e la Rai.

Durante la 60ma edizione del Festival, in particolare, è stata utilizzata un’opera grafica intitolata “The scent of the night” (raffigurante un fiore digitale stilizzato) quale scenografia fissa del palco di Sanremo, senza che fosse stata richiesta autorizzazione all’autrice. Quest’ultima, l’architetto Chiara Biancheri, aveva citato in giudizio, dinanzi al Tribunale di Genova, la Rai assumendo di essere la creatrice dell’opera e lamentando la violazione del proprio diritto d’autore. La Rai, di contro, sosteneva che, trattandosi di un’opera digitale, ossia ottenuta per il tramite di un software di intelligenza artificiale, essa non potesse godere della tutela attribuita dall’ordinamento al diritto d’autore, con la conseguenza che si sarebbe dovuto qualificare l’opera grafica come liberamente utilizzabile.

I giudici di merito prima, e la Corte di Cassazione poi, si sono espressi a favore della tutela dell’opera: quest’ultima, infatti, è da considerarsi quale “opera creativa”, pur se frutto di un’elaborazione grafica digitale, ovvero ottenuta tramite l’utilizzo di un software. L’emittente Rai è stata dunque condannata al pagamento di euro 40mila, nonché alla rimozione delle immagini relative al Festival dal proprio sito Internet.

In altre parole, è stato affermato che il ricorso a tecniche o sistemi informatici per la realizzazione di opere ai sensi della Legge sul diritto d’autore non deve impedire una valutazione della sussistenza del requisito della creatività. Pertanto, si dovrà di volta in volta stabilire se l’opera in questione risulti o meno il frutto di un’elaborazione creativa originale dell’autore, rispetto a opere precedenti, anche laddove la stessa sia composta da idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza in materia, purché formulate ed organizzate in modo personale ed autonomo rispetto alle precedenti versioni (così Trib. Bologna del 03/11/2022, n. 2713)

Nel caso in esame, la difesa, al fine di rafforzare la propria posizione e indurre il giudice a negare la tutela richiesta dalla parte attrice, ha sostenuto che l’apporto autorale sarebbe da considerarsi circoscritto alla scelta dello specifico algoritmo, che si è concretamente occupato di creare il risultato, avendo quest’ultimo elaborato forma, colore e dettagli: di conseguenza l’autrice si sarebbe limitata ad approvare l’effetto finale. Ne consegue che il contributo pratico della stessa alla realizzazione dell’opera sarebbe da ritenersi pressoché nullo, posto che il risultato finale sarebbe in realtà frutto dell’attività del software, rendendo così impossibile attribuire la paternità dell’opera in capo all’autrice.

Tuttavia, la Suprema Corte ha affermato che l’utilizzo di un software di intelligenza artificiale per la creazione di un’immagine non risulti di per sé inidoneo a negare il carattere creativo dell’opera: in ultima istanza, ciò che è necessario verificare è se, e in quale misura, l’utilizzo del software abbia o meno assorbito l’elaborazione creativa dell’artista. Inoltre, è necessario valutare, in relazione al risultato finale, quale sia l’apporto umano e quale l’apporto della macchina, evidenziando quale dei due predomina sull’altro. In conclusione, laddove l’apporto umano risulti preponderante rispetto al contributo della macchina, non vi sarebbero impedimenti alla tutela dell’opera e del suo autore.

Dunque, la pronuncia della Corte di Cassazione (Cassazione Civile del 16/01/2023, n. 1107) ha evidenziato come i giudici siano aperti alla possibilità di tutelare le opere create grazie ai sistemi di intelligenza artificiale, a condizione però che vi sia collaborazione tra il software e la persona fisica, ovvero fintanto che si possa riconoscere a quest’ultima una partecipazione alla realizzazione dell’opera.

Invero, mentre la collaborazione tra “uomo” e “macchina” non presenta particolari criticità dal punto di vista della tutela autorale nei casi in cui i software rivestano un ruolo di supporto quali strumenti di trasformazione creativa, maggiori interrogativi nascono nei confronti dei sistemi di intelligenza artificiale che riescono a imitare quasi perfettamente l’ingegno umano, operando autonomamente e indipendentemente dalla persona fisica.

Al momento, la soluzione maggiormente applicata a livello internazionale è quella di negare la paternità delle opere in capo a tali sistemi, preferendo attribuirla – seppur con argomentazioni che non lasciano privi di dubbi – ai soggetti che in qualche modo hanno partecipato (vuoi all’immissione dati o, ancora, alla revisione finale del prodotto) al processo di realizzazione dell’opera. La ragione risiede principalmente nel fatto che i sistemi di intelligenza artificiale sono privi di soggettività giuridica e, pertanto, non possono essere titolari del diritto d’autore.

Tale posizione è stata da poco ribadita anche oltreoceano: in particolare, il Comitato di revisione dell’Ufficio del Copyright statunitense – The Copyright Office Review Board – ha negato il riconoscimento alla paternità dell’opera d’arte intitolata “A recent entrance to paradise” da parte della cosiddetta “Creativity Machine”, ovvero un algoritmo di intelligenza artificiale che ha realizzato il dipinto in questione. È stato ritenuto, infatti, che un’intelligenza artificiale, per quanto tutelabile di per sé, non può vedersi riconosciuta a sua volta quale autrice di un’opera, in quanto – allo stato – il contributo umano è ancora un presupposto che, sebbene minimo, risulta necessario alla realizzazione dell’opera stessa.

Ci si trova, dunque, di fronte a un bivio, che dovrà essere ben presto risolto tramite apposito intervento normativo. Da un lato, è pur vero che i sistemi di intelligenza artificiale stanno via via diventando sempre più autonomi, il che renderebbe le attribuzioni di paternità ai collaboratori umani (se presenti) astrazioni non facilmente giustificabili. Dall’altro, l’impossibilità di configurare un diritto d’autore in capo a detti software comporterebbe la caduta in pubblico dominio delle opere da essi generate, con ripercussioni sugli incentivi agli investimenti e allo sviluppo di tali nuove tecnologie.

Il dibattito sul tema è quantomai attuale e sarà interessante vedere se la comunità internazionale tutta deciderà di seguire la strada intrapresa da Stati quali Arabia Saudita e Giappone, i quali hanno già iniziato a riconoscere una soggettività giuridica alle intelligenze artificiali.

Giacomo Vacca, Pasquale Ambrosio Cepparulo, Studio De Berti Jacchia

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