Il Consigliere d’Ambasciata Marco Maria Cerbo ha raccontato uno dei FramMenti di storie romane a Palazzo delle Pietre, all’interno del progetto di ospitalità della famiglia Mazzi e di Clara Tosi Pamphili, curatrice del programma di incontri per FraMmenti Club. Marco Maria Cerbo ha mostrato uno strumento poco conosciuto della diplomazia: la cultura. Vista a lungo come un prodotto da esportare della nazione dominante in tempi di colonizzazione, la cultura è oggi strumento fondamentale del dialogo tra Stati. Affascinante comprendere come l’antica arte del dono, una volta esclusiva dei rapporti tra regnanti, sia oggi alla base del soft power. Nel rispetto della mission di FraMmenti Club di rivelare storie e traiettorie culturali della città di Roma, Marco Maria Cerbo ha raccontato come la stessa Collezione Farnesina, un patrimonio poco conosciuto condiviso tra Roma e sedi all’estero, sia essa stessa espediente diplomatico.
La diplomazia culturale e il soft power
«La diplomazia culturale – ha spiegato Cerbo – è uno degli strumenti che un Paese ha a disposizione per esercitare il proprio soft Power, cioè la capacità di far prendere ad altre nazioni decisioni che possono essere a proprio beneficio. Il soft Power non è dare un ordine, ma piantare un seme che germoglia nel tempo. Tradizionalmente gli Stati si relazionavano con l’hard Power, l’uso della forza come strumento di coercizione. Nel tempo si è capito che questi strumenti potevano essere sostituiti da altro. Nella recente crisi in Georgia, ad esempio, si confrontano l’hard Power, che viene da Est, che si esercita battendo i pugni sul tavolo, e il soft power, che viene da Ovest e che si basa sugli scambi culturali. Ci sono momenti, come questo, in cui non c’è spazio per il soft power.»
Soft power e patrimonio culturale
«Le potenze che usano il soft power nel mondo – ha continuato Cerbo – sono anche quelle che hanno un grande patrimonio culturale, perché è uno strumento importante per convincere che il proprio modello di azione è il migliore. L’Italia è nella top ten dei Paesi che usano il soft power. Non solo attraverso mostre o concerti, ma anche grazie alla cucina, al design, l’Italia esercita la sua diplomazia culturale.
Insieme all’Italia, anche Stati Uniti, Regno Unito, Giappone e Germania usano la cultura per costruire ponti e abbattere muri. Un Paese in forte crescita, da questo punto di vista, è la Cina. Un confine importante da tracciare è, ovviamente, quello tra soft power e operazioni di propaganda o di diffusione di fake news. L’Italia è anche nella top tre della diplomazia culturale e al primo posto per numero di siti protetti dall’Unesco. Ne abbiamo 59 e stiamo lavorando alla candidatura per il sessantesimo: la via Appia antica a Roma.»
Esempi di diplomazia culturale?
«Tra gli esempi di soft power c’è il cinema americano della Hollywood classica, con i suoi film western che mostrano gli americani sempre dalla parte dei buoni, ad esempio.
Un antico caso di diplomazia culturale è poi la statuetta del Mercurio volante realizzato nel 1578 dal Giambologna su commissione di Ferdinando de’ Medici. Ferdinando decise di farne lo strumento delle sue relazioni internazionali, commissionandone varie copie di diverse dimensioni. L’originale, a grandezza naturale, è al Museo del Bargello di Firenze. Le copie furono regalate a potenti dell’Europa di allora. Oggi ce ne sono a Bologna, Dresda, Vienna, Venezia, Tolosa e Parigi. Il primo esempio di diplomazia culturale è quindi il trasferimento di un oggetto per ingraziarsi un altro potente, quando le relazioni tra Stati erano essenzialmente relazioni tra principi, basate su legami personali.»
Com’è cambiata la diplomazia culturale moderna?
«La diplomazia culturale contemporanea è di origine statunitense. Ancora oggi sono loro ad avere il maggior peso nel soft Power. Nel 1956 organizzarono una tournée con un gruppo di jazzisti, anche afroamericani, per diffondere l’immagine di uno Stato fondato sull’inclusione e non sulla discriminazione razziale. Arrivarono addirittura a suonare in Unione Sovietica nel 1971. Questa operazione ebbe un tale successo che, quando Louis Armstrong si recò in Congo, dove era in corso una guerra civile, fu dichiarata una giornata di tregua per permettere a tutti di godersi l’evento. Quindi il passo successivo è stato quello di trasformare la diplomazia del dono in una diplomazia degli eventi. Dal semplice donare un oggetto, si dona un’esperienza, arrivando non solo al principe, ma a una fetta più ampia di popolazione grazie, ad esempio, a concerti fruibili da una moltitudine di persone.»
Quali sono i Paesi forti nel soft power?
«Oggi le tre potenze del soft power della diplomazia culturale sono Europa, Stati Uniti e Cina.»
Tra gli strumenti di diplomazia culturale c’è il prestito. Uno è il caso cinese…
«Il prestito è un espediente che dura nel tempo. Già nel 1941 la Cina donò il primo Panda agli Stati Uniti. In Cina il Panda è un animale che ha un forte significato simbolico. Quindi, inviare un Panda, significava inviare un pezzo di se stessi che rimanesse nel Paese ospitante. Fino al 1987 sono stati donati 24 panda in 9 Paesi diversi. Il più famoso è quello che fu donato in un momento di apertura alla Cina comunista di allora, con la visita di Nixon, nel 1972. I due Panda mandati negli Stati Uniti ottennero 20 000 visitatori il primo giorno. Quindi 20 000 persone che videro un animale che allora era veramente esotico e pensarono alla Cina, guardandola attraverso qualcosa di bello. Da questa iniziativa prese anche spunto il WWF: è il motivo per cui hanno il Panda nel logo dell’organizzazione.
Questi esperimenti hanno però un inizio e una fine e seguono le relazioni internazionali. Nel 1987 la Cina decise di abbandonare il modello del dono e iniziò a prestare, a pagamento, altri animali e, in anni più recenti, ha iniziato a ritirare i Panda dagli Stati Uniti. Questi prestiti non vengono più rinnovati a causa della tensione tra i due governi. Negli Stati Uniti ci sono gli ultimi Panda di questo programma, nello zoo di Atlanta, che in autunno torneranno in Cina. Questa operazione ha avuto un duplice significato: uno esterno, perché andare allo zoo e non trovare più il Panda evidenzia che c’è una tensione tra i due Stati; l’altro ha una valenza interna, perché la Cina ha fatto una campagna di sensibilizzazione nei confronti dei maltrattamenti ai quali sarebbero sottoposti i Panda negli Stati Uniti, con manifesti dove si vedono Panda emaciati.»
Ci sono casi in cui il trasferimento di opere d’arte non è un dono. Ad esempio in fregi del Partenone…
«Nel 1801 Lord Elgin portò, dall’allora Impero Ottomano, i fregi dalla Grecia a Londra, scatenando già allora un grande dibattito. Lord Byron disse che questa sottrazione dal Partenone era semplicemente un atto barbarico e vandalico. Questo dibattito è durato due secoli e ancora oggi si dibatte dei fregi del Partenone. L’anno scorso, a novembre, il primo ministro britannico ha cancellato all’ultimo momento l’incontro con il suo omologo greco Mitsotakis a causa di un’intervista alla Bbc dove sosteneva che era ora che fossero restituiti. Pochi sanno che un pezzetto di questi fregi è finito in Sicilia. Lord Elgin donò un pezzetto di quei fregi al console britannico in Sicilia. Prima del 2008 la Sicilia accettò di prestarlo per permettere che fosse esposto in Grecia e, nel 2022, è stato restituito definitivamente. Questo è stato un gesto di diplomazia culturale molto apprezzato in Grecia.»
L’Italia ha restituito anche l’obelisco di Axum all’Etiopia…
«È stata la massima operazione effettuata da un Paese in tutto il mondo in tema di restituzione di beni culturali. L’anno prossimo sarà il ventennale della restituzione dell’obelisco di Axum. Si è trattato di un’operazione importante e complessa. All’epoca non era possibile portarlo via nave e fummo costretti a trasportarlo in aereo. E gli unici aerei adatti potevano arrivare dagli Stati Uniti o dalla Russia. Ma, in quel momento, gli Stati Uniti erano impegnati nel conflitto in Iraq. Alla fine l’aereo fu affittato da una società Ucraina che aveva ereditato un grande aereo russo. Solo che, mentre l’aereo americano sarebbe stato in grado di atterrare su una pista corta, questo non era possibile con il velivolo russo ex sovietico, per cui dovemmo allungare la pista di atterraggio. La gru per tirare fuori l’obelisco dalla pancia dell’aereo era rimasta ferma da parecchi anni e alcuni cuscinetti dovevano essere riparati. Andai in aeroporto in segreto e me li portò, di nascosto, un ingegnere della Salini. Arrivai con un pass speciale, li nascosi dentro una valigetta e aggiustammo la gru.»
Una parte importante della diplomazia culturale è rappresentata dagli istituti di cultura…
«I primi a farlo sono stati i francesi: nel 1883 venne fondata l’Alliance Française. Oggi sono 1074 in 133 Paesi. La Francia, poi, ha anche degli istituti di cultura. Gli investimenti francesi in questo campo sono stati enormi: sono società che hanno interventi pubblici considerevoli e non sono del tutto autonome; tuttavia non sono organi statali.»
E oggi?
«Gli ultimi arrivati sono i cinesi, con gli istituti Confucio, caratterizzati da una diffusione capillare. Dal 2004 ad oggi ne hanno creati 530 di cui 12 in Italia, anche in luoghi dove uno non si aspetterebbe di trovarli, come Enna.»
Come funzionano?
«Gli istituti Confucio funzionano in modo diverso dagli enti di promozione culturale degli altri Paesi, perché nascono in associazione con università locali: l’università fa un accordo con la Cina e apre un centro Confucio. Sono stati al centro di polemiche perché, oltre alla diffusione culturale all’interno delle università, alcuni sono stati accusati di fare attività di propaganda e di controllo sugli studenti cinesi all’estero. Questo ha portato alla chiusura di alcuni istituti Confucio negli Stati Uniti, Danimarca, Francia e Svezia.»
Uno strumento in più che ha l’Italia è la Collezione Farnesina…
«La Collezione Farnesina è una collezione di opere d’arte contemporanea all’interno di una struttura, il ministero degli Affari Esteri, che è di per sé un monumento. Ovviamente in una città come Roma è un’opera d’arte che svanisce; ma fa parte di un’area che ha una storia architettonica di grande impatto. Inaugurato nel 1959 come sede del ministero degli Esteri, che era a Palazzo Chigi, all’epoca era l’edificio coperto più grande d’Europa, con 1300 stanze e 6 km e mezzo di corridoi. Le prime opere risalgono al progetto realizzato nel 1959 da Del Debbio, che fece dei concorsi per decorare la struttura con opere di arte contemporanea. Come il soffitto della sala delle conferenze internazionali realizzato da Cascella; il famoso disco di Pomodoro, comunemente chiamata palla, all’ingresso del palazzo. Si è poi passati ad acquisire altre opere. L’idea dell’allora direttore generale Vattani fu di portare altre opere all’interno della Farnesina: oggi sono 700.
È una collezione variegata e viene visitata come strumento di diplomazia culturale dalle delegazioni in visita in Italia. Mostrando così che l’Italia è bella non solo per il patrimonio artistico del suo passato, ma anche per quello che crea oggi. I pezzi della collezione Farnesina vengono anche esposti all’estero: in questo momento c’è una mostra importante a Città del Messico, curata da Bonito Oliva, che espone quasi duecento pezzi della collezione. In questo modo utilizziamo la nostra arte per creare rapporti, costruire legami e far conoscere l’arte italiana nel mondo; che è anche contemporanea. Con i nostri prestiti e le nostre mostre, raccontiamo come la creatività italiana non si è fermata nell’antichità, ma continua ancora oggi ed è più ricca che mai.»
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