Secondo quanto riportato da The Art Newspaper, l’11 luglio le le autorità turche hanno chiuso una mostra incentrata sull’arte e sulla storia della comunità transgender e LGBTQ+ del Paese, aperta da circa due settimane. Intitolata Turn and See Back: Revisiting Trans Revolutions in Turkey, l’esposizione era stata presentata da Depo Istanbul, uno spazio non-profit fondato da Osman Kavala, imprenditore e filantropo turco, prigioniero politico dal novembre 2017, condannato all’ergastolo per le accuse di aver finanziato le proteste antigovernative nel 2013. Le forze dell’ordine hanno consegnato agli organizzatori della mostra l’avviso di un governatore distrettuale che sosteneva che la mostra incitava il pubblico all’odio. Il giorno dopo aver condiviso online le immagini della mostra, gli account social della sede espositiva sono stati bannati con una notifica inviata dal Governatorato distrettuale di Beyoğlu. La galleria ha in programma di presentare ricorso contro l’ordinanza di chiusura.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, negli ultimi anni, ha più volte etichettato la comunità LGBTQ+ come «Deviata». Dal 2015, il governo impedisce l’organizzazione del frequentatissimo Istanbul Pride, che era diventato il più grande corteo LGBTQ+ nel mondo musulmano, descrivendo i partecipanti alla manifestazione come appartenenti a «Gruppi illegali», per giustificare il divieto.
«Definire le persone “illegali” fa parte di un processo che mira a disumanizzare e criminalizzare le persone LGBTQ+», ha affermato Jiyan Andiç, co-curatore di Turn and See Back. «Questa mostra è stata un modo per dire: non siamo una minaccia, pervertiti o gruppi gestiti dall’estero, ma siamo sempre stati qui». Per evitare problemi, la mostra era stata pubblicizzata attraverso canali non ufficiali e durante le due settimane in cui è stata esposta è stata visitata da centinaia di persone. In esposizione, fotografie, neon, vecchi striscioni del Pride e materiali d’archivio come la fanzine trans Lubunya. In una sezione specifica, inoltre, i curatori hanno ricordato le quasi 100 persone trans che sono state uccise o si sono suicidate, dal 1980.
Kültigin Kağan Akbulut, direttore della rivista d’arte online Argonotlar, che tiene monitorati gli episodi di censura in Turchia, ha affermato di non essere riuscito a trovare un altro divieto simile per una mostra d’arte nel proprio Paese negli ultimi dieci anni. «In Turchia, la censura nell’arte avviene solitamente in anticipo tramite autocensura», ha detto Akbulut. «Dato che Istanbul Pride è monitorato, basta un post sui social media per finire sul radar dello Stato. Depo è anche contrassegnato per la sua associazione con Osman Kavala. Il problema è che non ci sono molti altri posti rimasti che avrebbero ospitato questa mostra».
Aperto nel 2009 dall’associazione culturale Anadolu Kültür, presieduta da Kavala, Depo ospita anche la stazione radio indipendente Açık Radyo, la cui licenza è stata revocata questo mese, dopo aver citato in diretta la storia del genocidio armeno.
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