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Ipotesi di postnormalità dopo l’emergenza Coronavirus, tra arte e serie tv
Attualità
Un’automobile incede poderosamente su una sinuosa strada di montagna costeggiata da silenziosi pini secolari. Oppure svicola con agilità nel traffico congestionato di una metropoli ipercontemporanea, trovando pure un parcheggio comodo. Che sia un SUV, un Fuoristrada, una City Car o qualunque altro segmento, questa pubblicità, adesso, sembra proprio fuori luogo. Anche se fosse una Panda, la macchina adatta a ogni occasione. Fuori tempo, come molti altri spot che continuano a passare sugli schermi come se niente fosse, scandendo le pause di riflessione tra un programma e l’altro dedicato all’emergenza Coronavirus.
Ma non è colpa dei pubblicitari o dei palinsesti, questa situazione ci ha trovato tutti impreparati e, in qualunque modo andrà a finire, niente e nessuno potrà mai essere più come prima. New York, la città che non dorme mai, perennemente funzionale, chiude i suoi locali, i musei e i bar. Le romantiche tavole calde abbassano le saracinesche. Chi avrebbe mai detto che, nella nostra vita, avremmo visto anche questa?
Sicuramente non sarà più la stessa cosa per la politica. La facilità procedurale con la quale il Governo ha regolamentato le libertà personali e i diritti fondamentali, dalla macroarea dell’economia alle piccole abitudine quotidiane, non ha precedenti nella storia del diritto contemporaneo.
Quando salì al potere, anche il fascismo fu costretto a scendere a compromessi, almeno nei primi tempi, con una burocrazia farraginosa e complessa, piegata nel corso di lunghissimi mesi di lavoro ai fianchi e turpi assassinii più o meno mirati a silenziare le opposizioni. Ovviamente la citazione non ha la velleità di un parallelismo storico – che sarebbe forzato e fuori tempo, appunto – ma può rendere la misura dell’eccezionalità degli eventi ai quali stiamo assistendo.
In queste settimane di emergenza, il Governo, in sostanza, ha bypassato il Parlamento e le sue camere, che sono la base di qualunque architettura democratica, attraverso una serie di assemblee «a scartamento ridotto», come definite da Massimo Villone su Il Manifesto. Intendendo per democrazia quell’organizzazione come l’abbiamo immaginata fino a ora. E il Governo ha agito, per di più, per una causa giusta e incontrovertibile, per l’interesse di tutti, per la sopravvivenza degli individui e dello Stato. E la figura di Giuseppe Conte si è innalzata a idolo, riducendo al silenzio, quindi all’impotenza, addirittura Matteo Salvini, uno che nelle emergenze ci sguazza e si crogiola.
Questa forzatura del sistema, adesso riconosciuta come necessità emergenziale e occasionale, sortirà i suoi effetti anche dopo, quando tutto questo sarà finito, tanto nei procedimenti formativi delle leggi che nell’idea stessa della politica, nella sua immagine. E non solo a livello locale, per esempio nei rapporti tra Governo e Camera e tra Governo e Regioni e via a scendere. Ma anche in seno all’Unione Europea, chiamata alla prova decisiva che potrebbe decretare la sua fine oppure, più probabilmente, un altro inizio.
Per il momento, le immagini sono rimaste più o meno simili. Le pubblicità continuano a proporre gli stessi modelli antevirus ma la vita sviluppata nel quadro del reale, dell’esperienza individuale, è radicalmente capovolta. E non sarà affatto semplice immaginare nuovi canoni rappresentativi, per metabolizzare e normalizzare la postquotidianità che ci aspetta. Nelle prossime puntate, gli attori di Un posto al sole indosseranno la mascherina? Per il momento, la serie tv più longeva in Italia, un prodotto che ha fatto della prossimità con il tempo un punto di forza, è stata interrotta. La realtà è entrata nello spettacolo ma, questa volta, veramente. E poi, come la mettiamo con le maschere di Dalì per la nuova stagione de La Casa di Carta?
L’arte fu rivoluzionata, rivitalizzata dall’enorme tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Alberto Burri, Jean Dubuffet, Asger Jorn, Yves Klein, Willem de Kooning, Robert Motherwell, Jackson Pollock, Mark Rothko, Antoni Tàpies e tanti altri artisti reagirono a quegli eventi ognuno con il proprio linguaggio ma seguendo una linea condivisa, forzando i codici rappresentativi esistenti e reinventandoli, adattando l’essere e le cose a una nuova disposizione. E non solo gli artisti furono coinvolti in questo movimento epocale ma anche i grafici, i pubblicitari – e non è un caso che Andy Warhol si formò proprio in quel mondo e precisamente in quel periodo – e tutti gli altri lavori connessi all’ambito del visibile, basti pensare alle Miss Atomic Bomb di Las Vegas, la città manifesto del postmoderno. E poi la letteratura, la musica, il teatro, per dare corpo, gesto, parola e anima al mondo che prorompeva dagli anni successivi alla Guerra.
La narrazione dell’emergenza Coronavirus come occasione di riscatto sociale non mi ha convinto fin in fondo, di solito la mitologia della palingenesi tende a essere riduttiva, rispetto alla complessità degli eventi. Ma, restringendo lo sguardo al mondo dell’arte e della cultura, è innegabile come istituzioni, musei e artisti abbiano avvertito il richiamo della responsabilità e delle possibilità, reagendo in maniera a dir poco volenterosa, facendosi portavoce dell’hasthtag ministeriale #iorestoacasa. Le hanno provate quasi tutte, via Social Network soprattutto, non solo per non perdere il contatto con il loro pubblico ma anche per rinsaldarlo e, magari, ampliarlo. Una espansione non solo numerica ma anche strumentale e di pensiero.
Che forma avrà il museo, dopo? E che aspetto avranno le opere al suo interno? Cosa penseremo, quando vi metteremo piede, “per la prima volta”? Come osserveremo le migliaia di persone – e noi tra queste, a nostra volta osservati – in attesa in fila, davanti agli ingressi? Quando rivedremo le bollicine del prosecco da opening frizzare nei nostri bicchieri, che gusto sentiremo? Ora nessuno saprebbe dirlo, cioè raccontarlo in forma compiuta, ma solo immaginarlo, abbozzarlo.
Possiamo immergerci in questa situazione, assaporare questa tensione che è anche sospensione e lasciarla scivolare tra i nostri pensieri e le nuove abitudini, regolare i ritmi abbandonando, più o meno gradualmente, con consapevolezza critica, lucidità e curiosità, modelli produttivi, archetipi rappresentativi, sistemi relazionali che non potremo più replicare, per non perdere il contatto con il tempo che ci aspetta.