Irredentisti dei beni culturali expat, nostalgici dell’italico rinascimento, è arrivato il momento di mettere mano al portafoglio: la Gioconda è in vendita. In fondo si tratta solo di 50 miliardi di euro ma cosa saranno mai, rispetto alla soddisfazione di poter riavere la “nostra” Monna Lisa, finalmente.
E pazienza se quei soldoni finirebbero col rimpinguare le casse dei nostri cugini d’oltralpe, che ebbero anche l’estrema impudenza di francesizzare Leonardo, con quel malandrino accento sulla o, in occasione della grande mostra al Louvre dedicata al grande maestro. Peraltro l’ultimo grande momento trasversale del mondo dell’arte, visto che l’appuntamento con Raffaello, questa volta in Italia, purtroppo è stato ostacolato dall’emergenza coronavirus. E proprio per rimediare alle sciagure della pandemia, che hanno prosciugato le casse dei musei, l’imprenditore francese Stéphane Distinguin ha lanciato l’idea clamorosa di mettere in vendita la Gioconda.
Nato nel 1973, Distinguin ha sempre lavorato nel settore dell’innovazione e delle tecnologie. Nel 2003 ha fondato l’agenzia Fabernovel, una multinazionale con uffici a Parigi, Lisbona, San Francisco, New York, Shanghai e Singapore, specializzata nella creazione di prodotti e servizi digitali. Nel 2009 ha poi aperto Usbek & Rica, «una rivista che esplora il futuro», come da sua definizione. Ed è dalle colonne del suo giornale di stampo positivista, che Distinguin ha parlato dell’idea di vendere la Gioconda, che detta così sembra poco meno di una boutade ma che, invece, è stata motivata con tanto di dati alla mano. Per esempio, le misure dell’opera. «La Gioconda è un oggetto alto 79,4 centimetri, largo 54,4 e profondo solo 14 millimetri», che fa ombra a centinaia di altri capolavori del Museo. Dal Louvre hanno preferito non commentare.
In effetti, diverse personalità della cultura, in più occasioni, hanno criticato l’eccessiva visibilità della Gioconda rispetto alle altre opere. Per molti visitatori, vedere l’opera di Leonardo rappresenta non più il perseguimento di un desiderio di conoscenza ma il soddisfacimento di un feticismo dell’esperienza. Qualcuno disse di levarla dalla sala del Louvre cui è solitamente esposta, per trasferirla in un padiglione appositamente costruito, in questo modo liberando il museo più importante del mondo dall’ingombro dell’opera più importante del mondo. Chissà cosa succederebbe, in questo caso. Per esempio, il Louvre potrebbe essere considerato ancora il museo per antonomasia? E la Gioconda rimarrebbe il capolavoro più conosciuto di tutta la storia dell’arte? Oppure cambierebbe anche il loro status, una volta separati l’uno dell’altro?
«Penso che potrebbe essere un buon affare, da un punto di vista economico e anche culturale. Gli unici ad avere i mezzi per resistere e tentare qualche reazione sono i colossi americani, come Netflix che da qualche giorno propone sulla sua piattaforma anche i film di Truffaut. Vendiamo il gioiello di famiglia. Non certo per fare cassa ma per finanziare il rilancio della cultura, che altrimenti rischia di non sopravvivere al coronavirus», ha spiegato Distinguin.
Certo che 50 miliardi sono una bella cifra, tanti di più rispetto al Salvator Mundi, sempre di Leonardo, che fu battuto all’asta da Christie’s, nel novembre del 2017, per 450,3 milioni di dollari, diventando l’opera d’arte più costosa della storia acquistata da un privato, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. In un primo momento doveva essere esposta al Louvre di Abu Dhabi ma poi se ne sono perse le tracce, forse si trova su uno yacht. E quindi, chi potrebbe mai spendere 50 miliardi per la Gioconda? Per dire, il patrimonio di Jeff Bezos, fondatore di Amazon, ammonta a circa 130 miliardi di dollari. Anche per lui, l’uomo più ricco della storia contemporanea, sarebbe un investimento non da poco.
Ma la Gioconda potrebbe essere messa in vendita anche in maniera alternativa, per esempio, sempre secondo Stéphane Distinguin, all’interno di una blockchain, a garanzia delle transazioni effettuate con i bitcoin. Un’opera d’arte – anzi – l’opera d’arte più importante al mondo, come garante di valore nel complesso meccanismo della moneta virtuale? Allora c’era una logica e sembra anche suggestiva. La Gioconda, quindi, trasformata in stringhe di codice – chiaramente di peso diverso rispetto a quello delle fotografie che a miliardi circolano sulla rete -, a fondamento di un nuovo concetto di ricchezza e di distribuzione della ricchezza. Insomma, un conio a partire dall’opera d’arte per eccellenza. «Una volta accettato il principio di sfruttare in modo diverso, più moderno, il valore della Gioconda, si aprono molte prospettive», ha chiosato Distinguin. E chissà che non ci abbia visto lungo.
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