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Sackler sì, Sackler forse e, alla fine, anche la Tate ha dovuto cedere e ha annunciato che cancellerà dai suoi due musei londinesi, la Tate Britain e la Tate Modern, il nome della famiglia proprietaria della Purdue Pharma, società farmaceutica responsabile della produzione del famigerato oppioide OxyContin. Negli Stati Uniti, la crisi degli oppioidi ha infatti i numeri di una guerra o di una pandemia parallela: secondo i dati diffusi dal Centers for Disease Control and Prevention, nell’ultimo anno si sono contati oltre 100mila morti per overdose.
La lunga crisi degli oppioidi e la guerra contro la filantropia tossica
Ma la storia inizia già negli anni ’80 e ’90, quando si diede il via libera alla diffusione di analgesici a base di ossicodone, farmaci potentissimi e dall’alta dipendenza. A raccontarne le vicende, con la crudezza estetica delle sue serie fotografiche, è stata Nan Goldin che, dopo aver subito in prima persona gli effetti dell’OxyContin, ha avviato una martellante campagna di protesta contro la Purdue Pharma, mirata, nello specifico, a mettere in evidenza il rapporto di filantropia tossica tra la famiglia Sackler e alcune delle istituzioni museali più importanti al mondo.
Nel 2019, insieme agli attivisti di PAIN, collettivo da lei fondato, ha inscenato un sit-in davanti al Victoria & Albert Museum di Londra, uno dei tanti musei che, tra i donors, può registrare anche il Sackler Trust. Prima del Victoria & Albert, Goldin aveva guidato decine di manifestazioni di protesta anche al Metropolitan e al Guggenheim di New York, oltre che al Louvre di Parigi, ottenendo peraltro ottimi risultati. Nel 2019, la National Portrait Gallery di Londra è diventato il primo grande museo a rifiutare pubblicamente una donazione di un milione di sterline dai Sackler, dopo le pressioni di Nan Goldin.
Oltre alla rimozione delle targhe onorifiche e alla cessazione o, almeno, alla messa in crisi dei rapporti di “filantropia tossica”, il grande merito di Goldin è quello di aver aperto – anzi, frantumato – il vaso di Pandora, accendendo l’attenzione su un aspetto rilevante di etica museale e culturale del quale prima si preferiva evitare di discutere. Sullo stesso filone, per esempio, la vibrante protesta di Michael Rakowitz contro il MoMA di New York: in quel caso, la questione riguardava le società di contractors, cioè di milizie private.
I Sackler sono accusati di aver fuorviato i medici e il pubblico sui danni causati dalla droga, al fine di massimizzare i loro profitti. La fortuna di famiglia, che dovrebbe ammontare a circa 13 miliardi di dollari, deriva in gran parte dalla vendita di OxyContin. Travolta dalle cause di risarcimento, la Purdue Pharma ha dichiarato bancarotta nel 2019, mentre la famiglia Sackler ha accettato di pagare 4,3 miliardi di dollari, in cambio di una protezione legale da future cause relative oppioidi. Ma una sentenza ha annullato l’accordo. In questi mesi e nei prossimi, il mediatore della società, gli avvocati delle parti – tra cui otto Stati, come California, Massachussetts, Connecticut e Washington – e il giudice fallimentare sentiranno tutti gli interessati ai negoziati.
La svolta della Tate: via il nome dei Sackler
Insomma, il cerchio si stringe e anche la Tate corre ai ripari, dopo aver scelto di mantenere le targhe onorifiche: «La famiglia Sackler ha donato generosamente a noi in passato, come ha fatto a un gran numero di istituzioni artistiche del Regno Unito. Non intendiamo rimuovere i riferimenti a questa storica filantropia», dichiaravano dal museo nel 2019. Ma evidentemente la situazione si sta facendo insostenibile, oltre che paradossale: alla Tate modern era possibile prendere “l’ascensore Sackler” per accedere direttamente al terzo livello, dove era allestito un focus sulle opere di Nan Goldin.
E così, alla fine, cinque sono le targhe rimosse, due alla Tate Britain, dall’ottagono centrale e da una galleria, e tre alla Tate Modern, scale mobili, ascensori e una galleria. «A seguito di accordi con il donatore, è stato concordato di rimuovere i riferimenti alla famiglia Sackler durante l’ultimo ciclo di aggiornamenti della segnaletica», hanno dichiarato dalla Tate, evitando però di spiegare i motivi di questo cambiamento.