Cambiano i tempi, le tecnologie avanzano, le conoscenze si avvicendano, vecchie competenze decadono e nuove professioni ascendono. Per esempio, nel settore dell’arte è diventato importantissimo padroneggiare la materia virtuale, non solo nell’ambito prettamente creativo o estetico ma anche nella sua declinazione “logistica”. D’altra parte, le room online delle fiere – oggi ha aperto OVR di Art Basel – non si costruiscono da sole e quelli che una volta erano cartongesso e chiodi adesso sono una stringa di codice. Che poi, se non del tutto creativo, c’è comunque bisogno di un certo gusto per allestire un booth, anche se virtuale. Perché sul campo digitale sono e saranno disputate partite importantissime ed è facile immaginare che non ci si accontenterà di una paginetta web con un paio di elementi cliccabili, per quanto il vaporwave abbia ancora il suo fascino. E a proposito di nuove figure professionali nel settore dell’arte, anche il Guggenheim Museum di New York si sta adattando alla nuova mania degli NFT – Non Fungible Tokens e, adesso, è in cerca di un esperto in materia.
Non solo per capire qualcosa di un fenomeno che, negli ultimi tempi, sta sbancando il mercato ma anche per intervenire direttamente sulla costituzione della collezione, per pianificare una strategia di acquisizione e capire dove e come investire. Gli amministratori del museo hanno definito quella della NFT Art come «Un’area in rapida crescita e altamente appetibile per il mondo dell’arte». Nel form online per sottoporre la propria candidatura agli stage del Guggenheim Museum, infatti, è stata inserita una voce che chiama esplicitamente in causa la conoscenza, non solo attuale ma anche di prospettiva, sugli NFT.
La domanda è: in che modo le blockchain e le criptovalute cambieranno il modo in cui un museo definisce la sua metodologia, la sua missione, la sua funzione? E considerando che è proprio alla funzione del museo che, tra le altre cose, è demandata la definizione di concetti primari per il pensiero collettivo, tanto astratti quali “memoria” e “conservazione” quanto misurabili come “valore”, la questione apre una vertigine ben più profonda rispetto alle effimere e fascinose mode del mercato.
A quanto ci risulta, il Guggenheim è tra i primissimi grandi musei d’arte che inizia a prendere molto sul serio la questione NFT, evidentemente incuriosita – per usare un eufemismo – dall’attuale boom del mercato, che ha fatto letteralmente impazzire i media americani, non solo di settore. L’asta da 69,3 milioni di dollari di Christie’s per un’opera NFT di Beeple ha acceso la miccia. Al punto che il Guerriero di Jean-Michel Basquiat venduto sempre da Christie’s a 41,7 milioni di dollari ma, questa volta, “fisicamente” e a Hong Kong, ha fatto certamente scalpore, è un record per il mercato asiatico ma, insomma, sa già un po’ di nostalgia. E passando dall’altra metà del cielo, anche Sotheby’s ha annunciato la sua intenzione di essere maggiormente coinvolta nel settore NFT.
Gli NFT, in effetti, esistono da anni ma gli artisti ci sono arrivati solo negli ultimi mesi, probabilmente spinti anche dalla necessità di dover manipolare una materia meno concreta, visti i limiti – fecondissimi a questo punto, anche perché universalmente condivisi – imposti dalla pandemia. Gli NFT, poi, sono esattamente ciò i cui l’arte ha bisogno: in origine, sono infatti un metodo per tracciare e trasferire la proprietà digitale su una rete blockchain, insomma servono a identificare in maniera inequivocabile un “oggetto”. Praticamente è l’equivalente non solo della firma ma anche della provenienza dell’opera – come un expertise – e, al momento, non ci sono falsari in grado di replicarla. Tuttalpiù si può bruciare l’opera originale, se questa è concreta, come è successo nel clamoroso caso di Banksy.
Chiaramente non è tutto un campo di fiori. Molti pensano che questo boom del mercato sia solo una bolla speculativa – il che non lo rende meno interessante, anzi – e alcuni sostengono che il consumo di energia necessario all’elaborazione degli NFT sia dannoso per l’ambiente. Perché poi, anche se molto prossimo alla smaterializzazione, stiamo parlando di qualcosa che ha pur sempre prosaicamente bisogno di essere attaccato a una presa di corrente, proprio come facevano gli antichi.
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