Sabato scorso, Nan Goldin, insieme agli attivisti del collettivo PAIN, lanciato dalla stessa artista nel 2018, ha inscenato un sit-in davanti al Victoria & Albert Museum, per protestare contro le sponsorizzazioni eticamente discutibili accettate dal museo di Londra. Come già in molte altre occasioni di cui abbiamo scritto, anche questa volta le accese rimostranze di Goldin sono state rivolte alla famiglia Sackler, proprietaria della Purdue Pharma. La società farmaceutica è la produttrice dell’OxyContin, un antidolorifico ritenuto tra i maggiori resposanbili della crisi degli oppiacei che, negli Stati Uniti, nel 2016 ha fatto registrare 64mila vittime per overdose.
Dopo anni di lotta senza quartiere, tra i musei di mezzo mondo, come il Metropolitan Museum of Art e la Tate Modern, Goldin sta ottenendo i suoi risultati, visto che molti musei, tra cui il Louvre e il Guggenheim, hanno accettato, con più o meno buona volontà , di rimuovere il nome dei Sackler dalle targhe commemorative delle sale espositive e non accettare più donazioni dal Sackler Trust. Un movimento di protesta che con il tempo è diventato una marea e ha reso Goldin una delle persone più influenti nel mondo dell’arte contemporanea, come riconosciuto dalla classifica di ArtNews.
Da parte sua, Purdue Pharma ha presentato istanza il fallimento a settembre 2019, stretta in una morsa di migliaia di processi in tutti gli USA. Secondo i commentatori americani, la società incriminata potrebbe riaprire sotto nuovo nome e continuare con la produzione di farmaci ma, questa volta, per curare l’overdose da oppioidi e da distribuire gratuitamente o a basso costo.
Il Victoria & Albert, che già era stato bersagliato da Goldin, attualmente ha un cortile e un centro educativo dedicato ai Sackler che pare abbiano donato milioni di dollari in “filantropia”, o meglio, per lavare la coscienza e i conti. Nonostante il rumore provocato dalle azioni di Goldin, il direttore del museo londinese, Tristram Hunt, ha affermato che l’istituzione è orgogliosa di aver ricevuto finanziamenti dai Sackler.
Un portavoce del museo ha commentato che «In quanto museo nazionale e spazio per il dibattito civico, il V&A sostiene pienamente il diritto a una protesta pacifica. Siamo grati per la generosità dei nostri donatori, che contribuisce al nostro programma pubblico di livello mondiale, supporta l’assistenza di esperti e migliora le nostre strutture in modo che possano essere godute dalle generazioni future».
Al Victoria & Albert Museum, Goldin e gli altri attivisti hanno mostrato un grande cartello con la scritta “ABANDON THE SACKLER NAME” e hanno diffuso banconote da un dollaro macchiate di vernice rossa, per esortare il museo a cambiare il nome agli spazi dedicati. «Che cosa dovremo fare, affinché il V&A riconosca la propria responsabilità nel denunciare il nome della famiglia responsabile di una delle crisi più letali del nostro tempo?», ha scritto PAIN, in una dichiarazione pubblicata su Instagram.
Peraltro, proprio a Londra ha appena chiuso una mostra di Goldin alla Tate Modern, mentre pochi giorni fa è stata presentata una sua personale alla Marian Goodman Gallery.
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