Mostre virtuali, eventi social, aste online, e ancora Crypto Art, blockchain, arte digitale: sono queste le nuove parole delle arti visive, o meglio del sistema di produzione, valutazione, promozione e consumo che ruota attorno ad esse. Termini che rinviano a concetti differenti, ma che convivono in un comune riferimento alla dematerializzazione dell’arte e delle sue procedure di produzione e fruizione. Parole nuove ma non troppo giacché sono, già da qualche tempo, oggetto di attenzione da parte non solo di chi l’arte la produce ma anche di chi la studia. Ed è uno studio analitico quello condotto da Valerio Mancini, Direttore del Research Center della Rome Business School, accreditata dall’Università di Valencia, e da Giosuè Prezioso, docente di Diritto ed Economia delle Industrie Culturali nello stesso centro di ricerca. Uno studio a quattro mani e bipartito: Mancini firma la parte relativa all’e-commerce mentre Prezioso si concentra proprio sui processi enunciati in apertura (crypto art, blockchain e rivoluzione digitale). A quest’ultimo abbiamo chiesto di spiegare in sintesi la complessità dei fenomeni in atto.
Acquisti da milioni, blockchain, arte digitale e tanto altro. Le notizie in circolo nell’ultimo periodo hanno riportato in auge l’arte e il suo a volte incomprensibile mercato, ma in realtà, cosa succede?
L’arte – e il conseguente mercato – dell’ultimo lustro ha visto il succedersi di accadimenti storicamente unici e memorabili: nel 2017, per esempio, si è venduto a Christie’s il Salvator Mundi di Leonardo da Vinci per 450 milioni di dollari – la cifra più alta mai spesa per un’opera d’arte. Nel 2018, presso la stessa casa d’aste, è passata l’opera Edmond de Belamy, la prima tela interamente realizzata da intelligenza artificiale (IA), venduta, con grande sorpresa della stessa Christie’s, per 432.500 dollari, circa 45 volte il prezzo di stima. Nel 2021 si sono succedute vendite stellari per opere di Crypto Art: Nyan Cat (600.000 dollari) e Everydays – The First 5000 Days (69 milioni di dollari) per citare le più iconiche. Il mondo dell’arte sta dunque vivendo un periodo di forte sperimentazione e scommessa, al punto da ispirare – o ibridarsi con – discipline affini come la moda, i social media e i musei. Di recente Gucci ha per esempio lanciato un paio di scarpe digitali a 17,99 dollari, mentre il primo tweet della storia ha venduto per 2,9 milioni di dollari. Quanto succede è dunque quanto è sempre successo nell’arte: si osa, si propone, funziona, diventa trend. A fare la differenza è che di solito l’avanguardia di un periodo è percepita a posteriori, mentre il presente che stiamo vivendo ha un sapore così futuro/ibile, che le due dimensioni quasi coincidono e ciò inebria, stimola e ispira, ma allo stesso tempo confonde.
La parola del momento è senz’altro Crypto Art: cosa dobbiamo sapere?
Molti miei studenti mi chiedono spesso come e perché un’arte così “semplice ed elementare” – come la definiscono loro – possa diventare così di successo. Innanzitutto è basilare rammentare che il concetto di ‘bellezza’ non è né oggettivo, né prioritario, né immutabile nell’arte; la didattizzazione della stessa ha creato un’idea comune del ‘bello’, dell’’opera’ e del ‘maestro’ – nemmeno maestra, ahinoi – che spesso siamo poco pronti ad accogliere il non-convenzionale. Anche Picasso, a modo suo, era “semplice ed elementare”. Lo erano anche gli Impressionisti e i Fauvisti, i cui nomi, non a caso, furono inventati per screditarli come puerili e ‘bestiali’. Gli stessi sono oggi celebrati come maestri, geni e visionari. Ciò non comporta che lo stesso avverrà per la Crypto arte, ma è l’aspettativa che la stessa sia come ci hanno insegnato che debba essere che ci allontana dal suo apprezzamento. Su di essa dobbiamo sapere che dietro c’è un’operazione molto interessante, e tuttavia, in qualche modo, tradizionale. Dietro ad un’opera di Crytpo arte c’è infatti un*artista, un concetto, un tema e a volte anche un’iconografia, oppure alcuni o nessuno di questi elementi, non per questo parliamo di un’arte minore o di una non-arte. A questo si aggiungono figure di mediazione come curatori – sono in crescita le mostre personali o collettive di Crypto arte – nonché rivenditori, art advisor e critici. La più acuta differenza è forse il mezzo di pagamento: la criptovaluta. Tuttavia l’arte è sempre stata retribuita, supportata e negoziata con mezzi di pagamento ‘meno convenzionali’, si pensi al mecenatismo, al baratto, all’arte come mezzo di garanzie diplomatiche, sgravi fiscali e persino come asset per transazioni di illegalità: dopo armi e droga, infatti, l’arte serve come il terzo mercato nero più grande per volume. Dunque anche in questa sua nuova forma, espressione o movimento, come potrà definirsi, l’arte non fa altro che essere sé stessa: assorbe, si plasma, crea tendenza, fenomeno e tuttavia rischio e tensione. E potervi partecipare – come accade nell’era in cui viviamo – ci rende protagonisti di una rivoluzione in fieri, che abbiamo il potere di alterare o paradossalmente mettere in pausa. Acquistare Crypto arte è dunque un’operazione inebriante per un*collezionista d’oggi: è rischiosa, social, coraggiosa, stimata e “liked”, tutte caratteristiche potentissime, specialmente se si considera che il 65% dei collezionisti in rete ha fra i 24 e 40 anni.
Come menzionavi, l’arte si posiziona come terzo mercato d’illegalità per volume. Una delle perplessità su di essa è proprio la sua fragilità dal punto di vista legale. Cosa ci puoi dire a riguardo?
È vero, l’arte è conosciuta come un asset volubile, pericoloso, sfocato. Associarsi poi ad una moneta che si chiama ‘crypto,’ sicuramente non aiuta. Tuttavia la Crypto art è associata a NFT e garantita da procedure di blockchain. In breve, il pezzo acquistato è associato ad un certificato di proprietà ed è garantito, in termini di riconoscibilità, tracciabilità e proprietà, mediante una serie di blocchi (blocks) che, a catena (chain), convalidano le caratteristiche di un pezzo una volta allineatisi. Questo è un sistema accessibile globalmente e mette tutti, dall’artista al potenziale acquirente, in una posizione di fiducia e costante monitoraggio. Nonostante la sua semplicità, dunque, l’arte Crypto si è presentata al mondo con delle risposte che consapevolmente si aspettava di generare. E lo stesso movimento – se tale è il termine – potrebbe aiutare altri settori a combattere queste fraudolenze: si pensa infatti che, nel mercato, il 50% delle opere in circolazione non sia autentico, mentre nei musei, anch’essi vittime dello stesso sistema, si stima una percentuale intorno al 20%. Perché non farsi ispirare dalla Crypto arte e la sua adozione di blockchain?
Quali sono gli svantaggi, però?
Partirei da quello ambientale. Produrre criptovalute, come sappiamo, è energicamente troppo dispendioso. Un recente studio ha confermato che la produzione annuale di criptovalute eccede i consumi energetici di un paese come l’Argentina. Essendo un’infrastruttura interamente costruita sulla rete – dalla creazione del pezzo di crypto arte, alle compagnie di NFT, blockchain, vendita, storage, ecc. – dobbiamo ipotizzare consumi enormi. Non che l’arte del passato si risparmiasse, basti pensare alla realizzazione della Cappella Sistina e del suo massivo uso di lapislazzuli provenienti da territori come l’Afghanistan. Tuttavia ciò va assolutamente ridimensionato, compreso e risolto.
Da interno al mondo dell’istruzione e della ricerca ho una perplessità: dalla prospettiva dei docenti, scuole e laboratori, quando inizieremo a prepararci e poi a preparare artisti, economisti, giuristi, ed in generale gli esperti di questa era? Se gli studenti stessi perpetrano riferimenti quali “semplice ed elementare” di fronte ad estetiche meno tradizionali, come li stiamo preparando ad essere aperti? Questa è senz’altro una preoccupazione esacerbata da un fenomeno come questo. So però che esperti da diversi campi si stanno organizzando per sopperire a questa mancanza, ma il pubblico, però, mi pare sia indietro.
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