Il fungo atomico sopra la città di Hiroshima, il 6 agosto il 1945, è una delle immagini drammatiche più forti per raccontare le tragedie del Ventesimo secolo, devastato da due guerre mondiali. Una forma compatta, priva di riferimenti al territorio sottostante, che occupa l’intera immagine, dominando tutto lo spazio circostante: segno inequivocabile della distruzione totale, capace di inglobare ogni traccia di presenza differente, trasformando la visione in una tragedia assoluta e per questo aniconica.
Il Ventunesimo secolo è caratterizzato da un’iconografia diversa, più complessa e decisamente iconica. Al posto della forma perfetta e totalizzante del fungo atomico, generato da un confronto di tipo bellico e militare, siamo passati alla tipologia meno definita e assai più subdola – per quanto non meno drammatica – dell’attentato terroristico, le cui motivazioni e dinamiche presentano sempre zone d’ombra e contraddizioni, oltre ad una natura più fluida e inafferrabile.
Dalla dimensione solida e definita del fungo, fallico e assertivo nella sua volontà di occupare l’intero frame dell’immagine, siamo passati a una dimensione dinamica e più disordinata, dove la nuvola provocata dall’esplosione ingrandisce e cambia forma e colore, in un rapporto di espansione spaziale che coinvolge e trasforma le architetture circostanti: le Torri Gemelle di New York nel 2011, il Tempio di Baal a Palmira nel 2015, i grattacieli del porto di Beirut nel 2020. Il riferimento storico più immediato è la Torre di Babele, simbolo della superbia umana: la nube tossica denuncia e manifesta la tragedia , che con la propria potenza devasta le architetture circostanti, dall’alto valore simbolico. Eventi chirurgici e localizzati, che sembrano quasi concepiti per poter essere diffusi in tutto il pianeta attraverso i social e i mezzi di comunicazione, come le eruzioni vulcaniche nelle tempere napoletane del Settecento. Un’unica tragedia ma decine di punti di vista diversi: le immagini ufficiali, i video amatoriali, gli scatti colti per caso dal passante o dal turista.
Così l’orrore si trasforma in opera d’arte nel mondo globale, secondo il pensiero del compositore Karlheinz Stockhausen, che definì l’attentato alle Torri Gemelle “un capolavoro”? Parlerei più di un dramma iconico, che assume le dimensioni di uno scatto da veicolare via Instagram, un’istantanea priva di distanza, capace di anestetizzare in un attimo l’orrore fisico per proiettarsi sull’orizzonte dei simulacri profetizzati da Jean Baudrillard. Liberati dalla tirannia del reale, siamo forse diventando vittime dei miraggi del virtuale?
“Beirut, l’enorme esplosione ripresa da diverse angolazioni: il videoracconto”, fonte: La Repubblica (www.repubblica.it)
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