Forse potrai rimanere anonimo per la storia dell’arte, ma non per la legge sul copyright. E così, l’identità segreta di Banksy, oltre che i lauti introiti provenienti dal marchio che porta il suo nome, sono a rischio, perché, in effetti, di chi sarebbe la proprietà del marchio? Uno paradosso niente male, sul quale si sono pronunciati i giudici della Corte Europea, Ufficio per la proprietà intellettuale, che stanno esaminando la controversia tra lo street artist più famoso al mondo e una società di cartoline, in merito all’utilizzo dell’iconica immagine di Love is in the Air, il “lanciatore di fiori”, per dei biglietti di auguri. «Banksy ha scelto di rimanere anonimo e, nella maggioranza dei casi, di dipingere graffiti sulla proprietà di altre persone senza il loro permesso, piuttosto che dipingerli su tele o edifici di sua proprietà», hanno spiegato i giudici della Corte Europea nella loro sentenza.
«Va sottolineato che un altro fattore degno di considerazione è che non può essere identificato come il proprietario indiscutibile di tali opere, in quanto la sua identità è nascosta», continuano i giudici. Fino a oggi, l’autenticazione delle opere è avvenuta tramite la pagina Instagram ufficiale, l’unico “contatto” tra Banksy e i suoi fan.
La causa tra la Full Color Black e il Pest Control Office, “l’ufficio” di Banksy che si occupa delle beghe legali e di controllare l’utilizzo del marchio omonimo, ebbe inizio nel 2018. La società di cartoline sostiene che Banksy non può pretendere di usare in esclusiva il suo marchio, che è comunque registrato fin dal 2014. Per tutta risposta, Banksy aprì il Gross Domestic Product, uno shop nel quartiere di Croydon, in cui poter acquistare alcune tra le sue opere più conosciute, come il tappeto di Tony the Tiger, la mascotte dei cereali, e il giubbotto anti-lama del rapper Stormyz. In realtà le opere erano sono in esposizione – l’acquisto si svolgeva tramite una piattaforma di e-commerce – e la manovra doveva servire per facilitare il riconoscimento del simbolo Banksy come regolare marchio commerciale.
L’idea fu suggerita da Mark Stephens, noto avvocato specializzato in cause d’arte, fondatore della Design and Artists Copyright Society e già difensore di Julian Assange. Per Banksy, comunque, si tratta di beneficenza. Come nel caso della lotteria, i ricavi della vendita, infatti, saranno usati per comprare una nuova imbarcazione per la Proactiva Open Arms, la ong spagnola che opera nel Mediterraneo per soccorrere i migranti. Eppure, lo stratagemma sembra aver sortito l’effetto opposto. Nella loro sentenza, i giudici hanno definito «incoerente» l’azione: «Il negozio è stato usato solo per aggirare i requisiti della legge sui marchi. Invece non c’era alcuna reale intenzione di utilizzare il simbolo come marchio».
La giuria ha insomma stabilito che il marchio di Banksy non può essere usato per rivendicare i diritti d’autore sulle sue opere, creando un precedente che potrebbe sortire effetti clamorosi. Basti pensare a quante mostre vengono organizzate ogni anno – e a quanti biglietti vengono staccati e a quanto materiale di merchandising viene venduto –, già adesso in tutto il mondo, senza l’autorizzazione dell’artista anonimo.
Cosa succederà? Per il momento, si aspetta una risposta di Banksy. Sarà a tono anche questa volta?
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Corte europea?
Buffoni!
Non riconoscere il marchio è come dire che i suoi quadri non sono dipinti da lui e chiuque puo metteri a dipingere asserendo che il suo prodotto è un Bansky orignale!
Ovviamnte nssuno glielo pagherbbe un soldo bucato! e farebbe solo la figura dell'idiota, come quelli della corte europea del resto.
Se è un Bansky o no e se un Bansky vale qualcosa o no ci saprnno benissimo pensare le persone che ama no questo artista, e per le quali una cartolina è appunto una cartolina, non credo che a Bansky alla fine gliene importi una pippa dela cartolina e del giudizio della Corte Europea, forse la dipingerà pèina di sorci.
A proposito, fatelo voi un Bansky che sembri autentico se ne siete capaci