Un grande regalo a Venezia. Una donazione che non solo arricchisce il patrimonio artistico e culturale della città ma che entra a pieno titolo a far parte della sua storia, consentendo ai Musei Civici di continuare a tenere vivo un legame tra passato, presente e futuro.
La Signora Gemma De Angelis Testa, alla quale è stato conferito il Leone d’Oro dal Sindaco di Venezia, ci racconta i motivi della sua donazione.
La Donazione di Gemma De Angelis Testa è la più recente acquisizione per le collezioni di Ca’ Pesaro e, per estensione e qualità delle opere, la più importante dai tempi del lascito de Lisi Usigli avvenuto nel 1961. Quali sono i motivi che l’hanno spinta a fare questa donazione?
L’idea di donare mi è sempre stata congenita. Le motivazioni sono da individuare nella nascita della collezione stessa. Già ancor prima di iniziare, ero affascinata dall’idea di poter mettere a disposizione di un grande pubblico una raccolta di opere. Gli artisti con le loro opere mi hanno fatto compagnia per diversi anni e con loro ho avuto un lungo dialogo, ma avevo sempre presente l’idea di donarle ad un prestigioso museo.
In che modo sono state selezionate le opere per l’eccezionale donazione al Comune di Venezia? Quale sarà il dialogo che si instaurerà tra queste opere e la città?
Le opere sono state selezionate durante il periodo di Lockdown con l’aiuto di Gianfranco Maraniello, che all’epoca non ricopriva nessuna carica istituzionale, presentate poi a Gabriella Belli, già direttrice del MUVE. Dopo una prima selezione delle opere da me effettuata, con Gianfranco Maraniello abbiamo completato la selezione dei lavori. Il dialogo tra le opere e la città è intrinseco. Sono molto legata a Venezia, in quanto nel 1970 mi ha fatto scoprire i due miei più grandi amori, quello per Armando Testa e quello per l’arte contemporanea. Venezia è una città che sta acquisendo sempre più rilievo per l’arte contemporanea, anche perché è il palcoscenico che ospita la Biennale d’arte. Credo dunque che ci siano tutti i propositi per far si che questa collezione dialoghi nel migliore dei modi con il pubblico ed il territorio. Sarebbe auspicabile che gli spazi che attualmente ospitano la mia collezione rimanessero fissi e permanenti, così da creare un vero e proprio museo di arte contemporanea, sarebbe uno dei pochi in Italia ad avere questa vastità di nomi internazionali. Si potrebbe poi estendere lo spazio museale, a quel punto non sarebbe difficile reperire o far confluire opere di altre collezioni.
Una Collezione che annovera capolavori di Robert Rauschenberg e Cy Twombly affiancati ai Maestri dell’Arte povera Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Pier Paolo Calzolari, Gilberto Zorio. Cosa si aspetta dall’apertura della raccolta al pubblico?
Credo fortemente che questa collezione possa donare tanto sia alla comunità che visiterà la mostra, sia al museo stesso. Per la collezione di Ca’ Pesaro, infatti, questa donazione ricuce un periodo artistico, come quello del dopoguerra, che mancava. Rappresenta dunque anche un’importante testimonianza culturale per il museo. Sono sicura che il pubblico risponderà positivamente a questa donazione, con proattività ed interesse. L’arte contemporanea è testimonianza del nostro tempo e per questo credo che scoprire i “messaggi dal mondo” dei vari artisti possa essere un fattore di interesse e di ispirazione per chi si interfaccerà con queste opere. La collezione è composta da opere contemporanee sorprendenti, giocose e riflessive, le opere di Paola Pivi rappresentano, per esempio, una dimensione ludica, surreale, ma allo stesso tempo attuale, ponendo l’accento sui problemi della nostra contemporaneità. Le tele di Brad Kahlhamer rievocano gli orrori del genocidio dei nativi americani attraverso una fitta simbologia. I lavori di Hugonnier e di Ai Weiwei sono antesignani di un valore storico remoto, profondo, ma non abbandonato, bensì reso contemporaneo tramite elementi che appartengono alla nostra contemporaneità.
L’artista sudafricano Kendell Geers, invece, rielabora la nostra concezione di identità passando però non dall’analisi individuale bensì da quella collettiva, di massa. Ogni artista presente in collezione rappresenta un tassello fondamentale del planisfero della contemporaneità ed è giusto che questi messaggi vengano condivisi. Credo che l’approccio all’arte contemporanea debba essere un diritto della comunità.
Un viaggio nell’arte del secondo ‘900, come si articola il percorso della mostra?
La mostra vuole ricostruire il mio percorso quarantennale da collezionista. Sono, infatti, trascorsi esattamente 40 anni tra il mio primo acquisto, un’opera di Twombly acquistata nel 1982, “The Vengeance of Achilles” e l’ultimo, “Make It Shine” di Marinella Senatore nel 2022. Twombly, i suoi segni si rafforzano con i titoli che attribuisce ai suoi lavori, garantendo così alla rappresentazione una dimensione figurativa. La poesia è un elemento che unisce sia Cy Twombly che Marinella Senatore. Quest’ultima è coinvolgente, utilizza vari mezzi per condividere la sua arte, ludica e performativa. Grazie all’impeccabile lavoro delle curatrici Gabriella Belli ed Elisabetta Barisoni, il percorso espositivo si sviluppa attraverso “grandi famiglie”. Attraverso le varie sale del secondo piano della Galleria di Ca’ Pesaro il racconto si sviluppa per “Affinità elettive”, una sorta di alchimia che si instaura tra me e le opere. Dalla prima sala, per esempio, che rappresenta un “Ritratto di famiglia”, e che quindi segna gli inizi ma anche una dimensione familiare e materna della mia collezione, fino all’ultima sala, che vuole riunire i vari messaggi dal mondo da parte di artisti internazionali.
Mi è sempre piaciuto definire gli artisti presenti nella mia collezione come messaggeri, in quanto, entrando in casa mia con le loro opere, mi portano una preziosa testimonianza del loro presente e del loro vissuto, come nel caso del lavoro di Marina Abramovic, un’immagine della sua performance alla Biennale di Venezia nel 1997, immortalata mentre ripulisce una montagna di ossa di bovino dalla carne e dalla cartilagine, come segno di purificazione delle stragi commesse durante la guerra dei Balcani, affini all’attuale scenario della guerra in Ucraina. Le opere donate di Alexis Leyva Kcho presentano ad un primo sguardo una dimensione innocente, ma da un’attenta analisi si percepisce che la sua “Columna Infinita” è una spirale formata da pneumatici che, ripercorrendo le varie tappe della vita, arrivano poi a trasformarsi in salvagenti, triste scenario contemporaneo che rimanda alla strage dei migranti. Filone analogo è seguito dal lavoro di Yoan Capote, una fetta di oceano su tela rappresentata con veri e propri ami da pesca, tanto struggente quanto evocativa.
Le opere abbracciano tecniche, culture e geografie diverse, tutte centrali nella contemporaneità, una collezione che mette in relazione tra loro autori diversi dell’arte internazionale, e sviluppano un dialogo continuo con la produzione di Armando Testa. Qual è il filo conduttore della collezione?
La mia non è una collezione studiata a tavolino, non ho mai collezionato seguendo uno schema preciso. Il filo conduttore della mia collezione è, come descritto in precedenza, la contemporaneità vissuta dagli artisti e come questi decidono di rappresentarla. Mi piace mescolare artisti di epoche diverse e mi risulta semplice creare dialoghi e affinità tra di loro. In tutto questo, trovo che l’arte e la poetica di Armando Testa siano sempre state avanguardistiche. Quando Armando mi chiedeva giudizi e pareri sui suoi lavori mi diceva sempre: “guarda il segno, guarda la forma”. Voleva comunicare arte al suo pubblico, infatti durante la sua carriera non lavorò solamente alla realizzazione di campagne commerciali, bensì sviluppò un suo vero e proprio linguaggio artistico. Ancora oggi molti giovani artisti guardano al suo lavoro con molto interesse e curiosità, traendone spesso anche ispirazione. È molto interessante osservare i dialoghi che si sono creati in mostra tra le sue opere e quelle di altri artisti. Armando era un creativo a tutto tondo e la sua carica inventiva non era mai scontata e quando voleva omaggiare qualcuno lo faceva in maniera consapevole ed esplicita, come ha fatto nella serie delle opere “Omaggio a Mondrian”.
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