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Lo Smithsonian National Museum of African American History and Culture di Washington ha appena lanciato Talking About Race, una nuova piattaforma online dedicata ai temi del razzismo e dell’identità razziale. A disposizione dei fruitori, centinaia di contenuti tra video, articoli di studiosi, esercizi di role-playing e altre risorse multimediali che, in questa fase tanto delicata quanto cruciale, non solo per gli Stati Uniti ma anche, di riflesso, per il mondo occidentale, potrebbero dare una mano a definire una nuova idea di società.
Il museo, la cui sede permanente, progettata dall’archistar David Adjaye, fu presentata a settembre 2016, nel corso di una cerimonia alla quale partecipò anche l’allora presidente Barack Obama, ha spiegato di avere avuto in programma già da tempo l’apertura di una piattaforma di questo tipo. Ma i recenti avvenimenti, tra cui l’omicidio di George Floyd e quello – meno conosciuto fuori dagli USA – di Breonna Taylor, uccisa il 13 marzo, nel suo appartamento, in seguito a una irruzione della polizia di Louisville, hanno spinto ad accelerarne la pubblicazione.
«Inaugurando il nuovo portale oggi, il museo punta ad aiutare gli individui e le comunità a portare a avanti una discussione costruttiva su uno degli argomenti più urgenti per tutta la nazione, il razzismo e il suo impatto corrosivo», si legge nella dichiarazione dello Smithsonian Museum. «Riconosciamo quanto sia difficile iniziare questa conversazione. Ma in una nazione ancora alle prese con l’eredità dello schiavismo e della white supremacy, è necessario che questa difficile conversazione sia portata avanti, per avere qualche speranza di voltare pagina. Questo nuovo portale è un passo in questa direzione».
Pochi giorni fa, Lonnie G. Bunch III, il primo direttore dello Smithsonian National Museum of African American History and Culture, dichiarò esplicitamente tutta la sua rabbia e il suo disgusto vero i recenti fatti di violenza contro persone nere: «Non solo siamo stati costretti a fare i conti con l’impatto della pandemia, ma abbiamo dovuto fare i conti anche con la realtà: siamo ancora una nazione dilaniata da disuguaglianze e divisione razziali. La situazione della nostra democrazia è fragile e precaria».
Finalmente, insomma, una presa di posizione chiara e inequivocabile, oltre che autorevole, da parte del mondo dell’arte e della cultura, dopo l’infelice uscita della 5Art Gallery. Qualche giorno fa, infatti, la galleria di Los Angeles aveva pubblicato sulle sua pagine dei social network un video in cui alcune persone si introducevano nella sede, dopo averne distrutto le vetrine, per portare via delle opere di KAWS.
What a sad day! We are so much against what happened to George Floyd. But this affected our employes and the artists…
Publiée par 5Art Gallery sur Samedi 30 mai 2020
«Siamo totalmente contro quello che è successo a George Floyd ma tutto questo si abbatte sui nostri dipendenti e sui nostri artisti, che non hanno niente a che vedere con questa situazione». Una dichiarazione che ricorda tanto quella famigerata frase «non sono razzista ma…» e che fa rabbrividire, ancora di più perché proveniente da una galleria d’arte che dovrebbe seguire con partecipazione gli eventi più urgenti della contemporaneità. Perché “quello che è successo a George Floyd” non è solo un indegno episodio di linciaggio, l’ennesimo caso di violenza autorizzata contro l’individuo, ma anche uno dei tanti gesti violenti perpetrati a favore di un radicato sistema egemonico, fondato sulla prevaricazione quotidiana e sulla disuguaglianza sociale. Un problema che coinvolge tutti, anche le gallerie d’arte contemporanea. O almeno dovrebbe.