Mancano ormai pochissimi giorni al lancio di ITsART. Il palinsesto della nuova piattaforma streaming dedicata alla cultura on demand, fortissimamente voluta dal Ministro Dario Franceschini, decollerà ufficialmente il 31 maggio 2021, dopo la falsa partenza di marzo che, però, era stata pronunciata solo a mezza voce da Giorgio Tacchia, Presidente e Ceo di CHILI, la società privata che, insieme a Cassa Depositi e Prestiti, costituisce la partecipata di ITsART. Comunque, non si può dire che il conto alla rovescia stia tenendo il mondo con il fiato sospeso. Nessuna comunicazione, nessuna nota stampa, nessuna presentazione o conferenza. Solo il titoletto “Arriviamo il 31 maggio” sulla scarna home page del sito, che rimane assolutamente non navigabile, senza tasti o altri riferimenti, nel cui anonimato da rumore bianco spicca giusto il logo tricolore dal sapore un po’ retrò. Che poi, secondo quanto si potrebbe desumere dalle informazioni riportate sulla stessa pagina web, questo aspetto vintage potrebbe essere un effetto voluto: «I grandi eventi esclusivi», gli unici espressamente menzionati nel testo di poche righe saranno i concerti del Maestro Riccardo Muti, il concerto-spettacolo di Claudio Baglioni “In questa storia che è la mia” dal Teatro dell’Opera di Roma e “La forza del destino” di Giuseppe Verdi diretta dal Maestro Zubin Mehta, al Maggio Musicale Fiorentino. Insomma, con l’estate alle porte questo palinsesto di ITsART rappresenterà una vera botta di freschezza, però attenzione al colpo di freddo.
Oltre al clima tiepido – per non dire da brodino riscaldato – con il quale è stata accolta la data del lancio ufficiale, rimangono molti dubbi sulla reale efficacia di un progetto prima sbandierato come il Netflix della cultura e poi declinato in versione emittente locale. E la localizzazione anglofona delle poche righe di testo riportate sul sito suscita più tenerezza che un reale interesse internazionale.
Durante le prime settimane dal lancio saranno resi disponibili oltre 700 contenuti, sempre secondo quanto riportato dal sito, «Tra cui anche nuovi format sviluppati e prodotti dalle principali istituzioni culturali italiane», tra aree archeologiche, musei, fondazioni, accademie e teatri che, quindi, a quanto è dato capire, dovranno metterci i propri fondi. Sarà poi proposta una selezione di film e documentari, «Grazie alla collaborazione con le principali case di produzione cinematografica» che, però, non sono specificate. Del resto, in questo progetto è sempre stato tutto molto fumoso e non è di certo un bell’effetto speciale, anche perché si tratta di un investimento pubblico, fatto nel segno della cultura e dell’arte.
D’altra parte, non si può certo parlare di un progetto nato sotto i migliori auspici, a patire dallo stanziamento di 10 milioni di euro da parte del Mibact, ai quali sarebbero da aggiungere altri 20 milioni circa, messi da Cassa Depositi e Prestiti, la spa controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e da diverse fondazioni bancarie, e da CHILI. Una cifra irrisoria per competere con un Netflix, che recentemente ha preso in prestito circa 15 miliardi di dollari per aumentare la sua capitalizzazione di mercato di oltre 200 miliardi di dollari. Pochi paragonati al gigante dello streaming, quei 30 milioni avrebbero però fatto molto comodo in un’ottica di redistribuzione lungo tutta la filiera della cultura.
Erano sorti molti dubbi anche sulla partecipazione di CHILI, chiamata alle armi direttamente, senza la pubblicazione di un bando – almeno a quanto ne sappiamo – oltre che sul parallelo mancato coinvolgimento della RAI, delle sue Teche e del suo canale tematico dedicato alla cultura. Ma la televisione di Stato fa servizio pubblico, mentre ITsART nasce espressamente come piattaforma di pay tv e on demand, quindi non su abbonamento ma con acquisti dei singoli prodotti anche se, negli ultimi mesi, CHILI ha lanciato un nuovo servizio Avod, cioè di streaming gratuito ma con inserzioni pubblicitarie.
Attiva nella distribuzione online e on demand di film e serie tv, CHILI è stata fondata a Milano nel giugno del 2012, da Giorgio Tacchia, Alessandro Schintu, Giano Biagini, Stefano Flamia e Stefano Parisi. La società a inizio 2020 ha chiuso un aumento di capitale da 6,4 milioni di euro sottoscritto dagli azionisti, tra i quali Lavazza. Nel 2020 ha registrato un profitto di 2 milioni di euro e ricavi pari a 45 milioni di euro, in crescita rispetto ai 42,7 milioni del 2019. L’Ebitda, cioè l’indicatore di redditività, invece è negativo per 500mila euro. Sono poi 4,5 i milioni di iscritti nel 2020, in aumento rispetto ai 3,3 milioni dell’anno precedente. Netflix ne conta poco meno di 200 ma il confronto è fuori scala, sarebbe come mettere Davide senza fionda sullo stesso ring di Golia. Un film dall’esito scontato.
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