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#MeToo continua a crescere in Iran: sotto accusa l’artista Aydin Aghdashloo
Attualità
In Iran, paese dai costumi ancora profondamente conservatori, maschilisti e sessisti, fioccano le accuse di abusi sessuali contro uomini al potere, scatenando un’ondata di #MeToo. Tra i personaggi più in vista c’è l’artista Aydin Aghdashloo.
Read my investigation into #Iran‘s Me Too:
Sexual abuse allegations surfaced against more than 100 men on social media, the most prominent an internationally famous artist Aydin Aghdashloo. #آیدین_آغداشلو#من_هم https://t.co/pxD6RcPZt8
— Farnaz Fassihi (@farnazfassihi) October 22, 2020
Le accuse di stupro rivolte ad Aghdashloo, artista-celebrità protetto dall’élite dominante, sono solo le ultime di una lunga lista di denunce lanciate sui social iraniani contro più di 100 uomini, tra cui l’ex manager di una gigantesca società di e-commerce, un illustre professore di sociologia e il proprietario di una famosa libreria. Tredici donne, intervistate dal New York Times, hanno denunciato oltre trent’anni di violenze sessuali commesse dall’artista. Tra queste, ci sono ex studentesse e giornaliste, dai 13 anni in su. Se sei una donna, denunciare di stupro un uomo, in Iran, è da considerarsi un atto di profondo coraggio. Parlare di sesso è culturalmente proibito, fare sesso fuori dal matrimonio è illegale e l’onere della prova per le vittime di crimini sessuali è particolarmente oneroso: se sei stata stuprata, la colpa è evidentemente tua.
Aghdashloo non ha voluto rilasciare interviste, si è limitato a negare ogni prova, lasciando detto in una dichiarazione al Times: «Le accuse di abusi sessuali sollevate contro di me sono piene di inesattezze, fraintendimenti e montature. Per essere chiaro, ho sempre cercato di trattare le persone con rispetto e dignità, e non ho mai abusato, assaltato, o sfruttato nessuno». Ha poi continuato: «Non sono un uomo perfetto, e se il mio comportamento ha offeso o messo in difficoltà qualcuno, mi scuso profondamente». Sì, certo.
Despite difficulties, Iranian women are making a progress in creating and growing a #MeToo movement of the Middle East. Share this post to share Sara’s story! https://t.co/rEPtAcKuXN #ManHam
— Girls in Tech (@GirlsinTech) January 23, 2019
Le denunce per abusi sessuali condivise sui social media iraniani, sono state, a partire da quest’estate, al centro di una crescita esponenziale. Dopo tre anni dallo scoppio del #MeToo negli Stati Uniti, anche in Iran si stanno finalmente sollevando sempre più forti le voci di tantissime donne, nonostante il clima in questione sia infinitamente meno incoraggiante. A dare un po’ di speranza c’è la risposta dai vertici, ovviamente controllati da uomini, che hanno però almeno dato segno di prendere in considerazione – anche se parzialmente e raramente – le accuse.
#Metoo in Iran: gli altri casi
In ottobre di quest’anno, il capo della polizia di Teheran ha incolpato il proprietario della libreria, Keyvan Emamverdi, di «corruzione sulla terra», considerato peccato capitale nella Repubblica islamica dell’Iran. Questo a seguito della confessione dell’uomo, responsabile dello stupro di 300 donne, 30 delle quali avevano avuto, per fortuna, il coraggio di denunciarlo pubblicamente. Sulla stessa linea, la società di e-commerce Digikala ha aperto un’indagine sul suo ex manager e si è scusata con le dipendenti donne. L’unione dei sociologi iraniani ha espulso il professore accusato e ha sollecitato una politica di tolleranza zero verso questi episodi nelle università.
Per tornare invece sul caso di Mr. Aghdashloo, un suo dipinto è stato recentemente rimosso dalla cover di una famosa collezione letteraria e almeno tre donne hanno annunciato di stare prendendo in considerazione un’azione legale nei suoi confronti.
I dipinti di Aghdashloo sono stati negli anni messi all’asta ed esposti in tutto il mondo. Prima della rivoluzione islamica avvenuta nel 1979, aveva collaborato con la famiglia dello scià alla curatela di diversi musei. Successivamente era stato introdotto nel circolo dei chierici dominanti all’interno della rivoluzione, arrivando così a stabilire forti legami con la gerarchia ecclesiastica.
L’Harvey Weinstein iraniano
Tutto è cominciato il 22 agosto, quando Sara Omatali, ex studentessa dell’artista, ha postato su Twitter la sua denuncia ufficiale, accusandolo di averla aggredita sessualmente nel 2006, anno in cui lei era andata a trovarlo per un’intervista. Nel tweet ha scritto che lui si era presentato alla porta nudo e l’aveva forzata a baciarlo, premendo il suo corpo contro quello della donna.
نوشتن این چند سطر از سختترین کارهایی است که کردهام. قرار است ماجرایی را بخوانید که ممکن است آدمی را که نزد خیلیهایتان فردی خردمند و فرهیخته و داناست و از روشنفکرهای محبوب، به کل زیر سؤال ببرد. این روایت را سالها حمل کردهام و دیگر دلیلی برای حمل مصلحتاندیشانهشان نمیبینم/
— Sara Omatali (@SOmatali) August 22, 2020
Le parole di Sara sono poi diventate virali, fungendo da catalizzatore per le successive denunce. Tredici donne – incluse altre ex studentesse, giornaliste e proprietarie di gallerie d’arte – hanno detto di essere state vittime di Aghdashloo, una di queste, all’epoca dei fatti, aveva addirittura 13 anni.
Molte l’hanno descritto come un «Harvey Weinstein iraniano”, per essere solito elevare o distruggere le carriere delle vittime a seconda della reazione alle sue avances. Nonostante sia venuto fuori, andando sempre più a fondo, che questi episodi sistematici di abusi sessuali commessi dall’artista – a partire dalle avances fino a vere e proprie violenze fisiche – erano da tempo ben noti nell’ambiente artistico iraniano, nessuno, fino a quel momento, aveva mosso un dito per cambiare le cose.