Abbiamo intervistato l’Assessore alla Cultura di Milano Filippo Del Corno per capire come si sta muovendo la città in queste settimane di clausura forzata, in cui il design si progetta da casa e ci si svaga con i flashmob sui ballatoi, per fare il punto sulle politiche culturali di Milano, pronta per ripartire quando tutto questo sarà finito.
Teatri, musei, cinema, sale, tutto chiuso. Anche ArtWeek e il Salone del Mobile sono stati rinviati. Il Coronavirus sta fermando quella che sembrava l’infinita ascesa culturale di Milano. Cosa vuol dire questo stop obbligatorio per la nostra città?
«È uno stop che riguarda il mondo intero. La dimensione globale della diffusione del Corona Virus è ormai accertata, non possiamo pensare più in termini cittadini, regionali o nazionali, ma in termini globali. Questo significa che, a partire dal ruolo che la cultura ha nella trasformazione, nei cambiamenti e nell’evoluzione delle città, dobbiamo ripensare il modello di sviluppo cittadino. Questo virus ha dimostrato una fragilità sistemica del mondo della cultura, ma al tempo stesso ha raffigurato in maniera evidente il ruolo sociale che la cultura svolge e quindi dovremmo ripartire dal capire che la diffusione culturale è il fondamento sociale delle comunità. Sarà una grande sfida globale e Milano proverà a interpretarla a suo modo».
Il 12 marzo ha mandato, insieme ad altri assessori, una lettera al governo degli per chiedere lo stato di crisi per il settore culturale, sostenendolo anche con l’accesso al reddito di cittadinanza. Che cosa si vuole ottenere?
«La lettera vuole ricordare innanzitutto che la cultura è un comparto produttivo, quindi è parte dell’economia della nazione. In questo momento è però tra i comparti produttivi più segnati dell’emergenza. Il mondo della cultura ha tra le sue specificità la precarietà delle figure professionali che ne fanno parte, e quindi i lavoratori e le lavoratrici del settore necessitano di un’attenzione speciale in termini di sostegno socio-economico, a prescindere dall’emergenza di questo momento, cosicché quando la crisi sarà finita la cultura possa ripartire di slancio ed essere protagonista di una grande stagione di cambiamento e trasformazione per l’intero paese».
Oltre alla richiesta di non farsi rimborsare i biglietti degli spettacoli, cosa sta facendo di concreto la città di Milano in questo momento?
«Pochi giorni fa è stata emanata l’ordinanza volta ad alleggerire il peso fiscale e di tributi a tutte le realtà culturali e stiamo immaginando nuove azioni che garantiscano un supporto immediato. In questi casi però il perimetro di azione di un Comune è molto limitato, le responsabilità sono del Governo e poi delle Regioni. Motivo per cui con la lettera degli Assessori ci siamo rivolti al Presidente del Consiglio, al Ministro per le Attività Culturali e ovviamente ai Presidenti di Regione».
Indipendentemente da questa situazione, Milano si è dimostrata negli ultimi anni la capitale nazionale in diversi settori culturali, primo fra tutti l’editoria, come dimostra anche la nomina a Città Creativa Unesco per la Letteratura. Cosa rappresenta il libro per Milano?
«Storicamente è proprio a Milano che si diffonde la lettura individuale, come narra il famoso episodio citato da Sant’Agostino. Al di là di questa componente simbolica, il libro è una componente fondamentale della tradizione e dell’industria culturale milanese, e la maggior parte degli editori più importanti del paese hanno sede in città. Prima del 2011 non c’erano manifestazioni legate al libro, tranne l’eccezione della Milanesiana, poi con la giunta Pisapia è nato il progetto di BookCity, che ha dato vita a un grande fermento di diffusione del libro e della lettura. La nostra città ha tra i più alti indici di lettori forti del paese, ma anche una significativa presenza di istituzioni dedicate al libro. Quindi era abbastanza naturale che dopo tanti anni di dimenticanza istituzionale, le venisse riconosciuto questo ruolo».
Passiamo all’arte. Negli ultimi 10 anni due centri dedicati all’arte contemporanea sono sorti in città (Museo del 900 e Mudec) oltre a svariate gallerie e Fondazioni private. Quali sono gli obiettivi di Milano nei confronti dell’arte contemporanea?
«L’obiettivo attuale è quello di restituire a Milano la sua straordinaria fertilità per la creatività artistica che ha innata. Penso alle grandi avanguardie del Novecento italiane che hanno vissuto Milano come la loro città rappresentativa. Tra un paio d’anni sarà ultimato anche il progetto di ArtLine, nel quartiere CityLife, uno dei più importanti parchi di arte pubblica contemporanea al mondo. Stiamo procedendo con la selezione delle opere, a breve aggiungeremmo quella di Maurizio Nannucci. Credo sia importante connettere le energie del mondo privato, come le Fondazioni private che tanto hanno fatto e che continuano a fare per l’immagine dell’arte contemporanea, in un unico progetto di cabina di regia. Va in questa direzione il programma di ArtWeek che ha messo in connessione e ha permesso di riconoscere la massa critica nelle tante istituzioni pubbliche e private che oggi animano la nostra città nell’ambito artistico. Quindi da un lato rappresentare l’aspirazione globale della città e dall’altro convogliare l’energia della comunità cittadina che considera l’arte contemporanea un elemento cruciale di produzione culturale della città».
ArtLine possiamo farlo rientrare in un percorso di rigenerazione urbana che ha trasformato Milano negli ultimi anni e che in parte ne ha anche determinato il successo…
«ArtLine è senz’altro un elemento di trasformazione urbana. Sul tema della rigenerazione che implica un intervento su quartieri o ambiti territoriali che soffrono di degrado vorrei ricordare che sono spesso i soggetti privati che nell’ambito di un processo di urbanizzazione fortemente coordinato dalla città possono giocare un ruolo protagonista. Pensiamo per esempio che cosa ha rappresentato Fondazione Prada nella trasformazione urbana dell’area che si affaccia sul lato sud dello Scalo Ferroviario di Porta Romana. Fondamentale quindi in ogni operazione urbanistica considerare la qualità e il valore che può avere la presenza di arte pubblica nel progetto».
Rimanendo in ambito di rigenerazione. Ci sono delle politiche ad hoc oltre a quelle legate al mondo dell’arte che ha già citato?
«L’ho detto tante volte e non mi nascondo nel ripeterlo, il migliore alleato di un Assessore alla Cultura oggi in una città è l’Assessore all’Urbanistica. Nel momento in cui nel piano di governo del territorio si stabilisce che la qualità delle funzioni culturali, con scopo anche sociale e aggregativo, diventa un parametro di valutazione nei processi di rigenerazione urbana, anche se questo viene operato da soggetti privati, allora le politiche urbanistiche diventano politiche di diffusione culturale. Basti pensare a un luogo che in questi anni ha vissuto una trasformazione impetuosa come il quartiere Isola e il lavoro che abbiamo fatto alla BAM, la Biblioteca degli Alberi di Milano. Abbiamo chiesto al privato che ha realizzato l’intera operazione di pensare a un progetto culturale all’interno del parco la Biblioteca degli Alberi. Un caso unico al mondo di parco che ha una funzione interamente pubblica anche se gestita da un soggetto privato, e all’interno di questa funzione pubblica non ci sono solo le tradizionali attività legate alla fruizione del verde, ma anche uno specifico programma culturale. Questo è uno degli esempi più forti e più evidenti di come sia cruciale l’alleanza tra cultura e urbanistica».
Parlando di teatro…Il Piccolo è l’unico Teatro d’Europa in Italia e parte della storia teatrale nazionale. Il suo direttore Sergio Escobar, già in pensione, con grande generosità ricopre il ruolo gratuitamente. Ma questa gratuità non rischia di diventare un modello in un momento in cui il lavoro culturale necessita di maggiore attenzione e legittimità?
«Prescinderei dal caso personale. Lo sforzo che stiamo facendo con l’appello degli Assessori è riconoscere che lo stato di eccezionalità del mondo della cultura non deve generare però un eccesso di fragilità del sistema. Credo che il ripensamento globale debba venire sulla base anche di questo, tornare a immaginare un nuovo modello di welfare sociale che riguardi i lavoratori della cultura e che metta al primo posto un mix sufficientemente forte di politiche generazionali e salariali che abbia da un lato la componente di transitorietà degli incarichi, imprescindibile nel mondo della cultura, ma dall’altro anche di una maggiore tutela e garanzia».
Quali sono gli obiettivi che deve darsi Milano per essere considerata una metropoli davvero europea?
«Un mese fa avrei detto che Milano è già una città europea. Avrei detto di continuare il lavoro che stiamo facendo e salutare i risultati positivi che in questi anni siamo riusciti a conseguire come una conferma della bontà del percorso che avevamo iniziato, tanto che gli European City Monitors avevano classificato Milano tra le prime cinque grandi città europee per vivacità e accessibilità dell’offerta culturale. Dal 28 al 30 ottobre 2020 si svolgerà a Milano il World Culture Cities Forum, che riunisce le 40 città culturalmente più importanti al mondo, come Parigi, Londra, New York, Seul, Tokyo, San Paolo… Quando Milano è stata scelta come sede del summit, avevamo immaginato di fare il punto della situazione rispetto alle modalità in cui le diverse città hanno parlato di cultura in termini di sviluppo e crescita. Oggi dobbiamo ripensare tutto. Sarà un anno zero per tutti, dovremo pensare come ripartire e quali potranno essere i nuovi i modelli di sviluppo e immaginare le funzioni della cultura. Come sempre dopo le grandi crisi, sarà un momento di difficoltà ma anche di forte stimolo, perché abbiamo di fronte una lavagna bianca che abbiamo l’opportunità di ridisegnare da zero».
Quali sono i suoi luoghi culturali del cuore in città?
«Sono tantissimi, ma in questo momento sceglierei la Galleria d’Arte Moderna a Villa Reale, una collezione che connette la storia dell’arte dell’Ottocento alla storia di Milano. Alla GAM si può guardare negli occhi l’Alessandro Manzoni di Hayez: in questi tempi dobbiamo cercare conforto e speranza perché il futuro che ci aspetta è complicato, ma può avere prospettive stimolanti».
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