Abbiamo ridimensionato da qualche giorno la discussione sulla variabile vitalità del virus, per perderci in lunghe discussioni sui monumenti: si devono abbattere quelli che ancora offendono una parte della nostra comunità? A cui aggiungerei: si può discutere sui singoli monumenti, o bisogna comunque mettere in discussione l’idea stessa della monumentalità?
Un dato sembra assodato da secoli, i monumenti statuari pubblici, vengono eretti perché rappresentino il motivo stesso per cui sono stati realizzati, cioè il valore morale ed etico di una persona ritenuta illustre che possa fungere da esempio o il trionfo del potere che quel monumento rappresenta, compresa, nella rappresentazione di quello meno illuminato, la repressione e le sue ingiustizie, insieme all’intimidazione che può esercitare sui suoi dissidenti.
Il lavoro sui monumenti e sul mutevole destino dell’opera pubblica fuori dal suo contesto temporale o politico, quello che rappresenta un monumento del passato quando cambia la mentalità dominante e cambiano i fatti reali di un luogo o di una nazione, ha generato riflessioni in ogni società democratica. Nei paesi governati da dittature, per esempio, il monumento pubblico assume un ruolo celebrativo preciso, talmente impregnato di significati che è la prima cosa che si ha urgenza di far scomparire quando quel regime cade, perché il motivo per cui sono stati eretti non esiste più o non vuol essere ricordato da nessuno.
Nei boschi dei Paesi dell’ex URSS, esistono dei depositi (tra l’altro potenti e bellissimi) dove vengono conservate le moltissime statue abbattute dopo la fine del regime, che le amministrazioni locali non sono riuscite a smaltire o riciclare e perciò sono state abbandonate lì. Questi depositi, vastissimi, si sono trasformati nel tempo, in un luogo di riflessione sul passato, ma le statue non sono più elementi celebrativi nelle piazze ed essendo lì ammassate, spesso capovolte o gettate per terra, ne è stata annullata la funzione stessa per la quale erano state istallate.
Molti artisti di quei Paesi, hanno a lungo lavorato sul concetto di monumento e della cancellazione del suo significato, creando riflessioni molto interessanti.
Una delle prime azioni che i vincitori compirono in Iraq, deponendo Saddam Hussein, fu abbattere con un carro armato il suo monumento a figura intera nella piazza di Baghdad. Pur in mezzo alla guerra, da lì l’hanno trionfalmente trasmesso in diretta nelle tv di mezzo mondo. Prima di cadere, l’uomo di bronzo, ritratto in posizione di potere con impressa sul viso l’espressione dell’atteggiamento presuntuoso dei potenti che si sentono invincibili, si inclina, si storce e infine cade. La materia della quale il monumento è composto non gli consente di accasciarsi, ma solo di rimbalzare, in modo impietoso e quasi ridicolo, prima di essere deposto come il suo protagonista, spazzato via dalla storia comune di un popolo, dalla storia pubblica e politica, viene buttato in un deposito di rifiuti.
Non si può dire insomma che il monumento non sia qualcosa di importante nell’erigerlo e nel decidere di conservarlo.
Il monumento a un personaggio cosiddetto illustre della società civile, visibile al pubblico normalmente su un rialzo di marmo o comunque realizzato per essere al centro di un’attenzione generale, si erge al di sopra delle persone, invitandole a seguirne l’esempio o assorbirne i valori e ora ci si chiede, se non può più essere un buon esempio per chi lo osserva, che senso ha che lo si tenga? O peggio, se è il simbolo di una discriminazione ancora in atto, deve continuare a svettare?
I monumenti che oggi il movimento Black Lives Matter insieme ad altri gruppi di attivisti e intellettuali, chiede di abbattere negli USA, sono stati eretti negli anni Cinquanta del secolo scorso, in uno dei periodi più oscuri della segregazione razziale più recente e in quell’epoca sono stati deliberatamente posti al centro delle piazze per condizionare il comportamento dei cittadini afroamericani, con lo scopo di umiliarli e renderli più deboli, sottolineando la loro inferiorità presunta, da parte di chi deteneva il potere e che negava loro dei diritti già sanciti dagli emendamenti della Costituzione. Erano monumenti a persone che avevano professato l’ideale razzista o compiuto atti legati al traffico di schiavi.
Anche a Bristol, in Inghilterra, dove in piazza c’era il monumento di un famoso mercante di schiavi, seppur mecenate in città, i manifestanti l’hanno divelto e buttato nel fiume, dopo che la cittadinanza per anni aveva segnalato il messaggio poco rispettoso di quella statua nei confronti degli immigrati in UK.
Le femministe italiane e non solo loro, per esempio, riguardo al giornalista Indro Montanelli, dopo la consapevolezza tardiva di quel fatto oscuro di cui egli fu protagonista, ritengono che quell’azione riprovevole, della quale, tra l’altro, non si dichiarò mai pentito, non lo renda più degno di una piazza e un monumento a Milano, una città che più di altre si è dimostrata, nella sua storia, civile e accogliente. Indro Montanelli, in un’intervista rilasciata ad Enzo Biagi nel 1982, parla della povera bambina eritrea costretta al concubinaggio forzato con lui, per un diritto declinato nel senso del potere e del razzismo riguardo ai popoli assoggettati al colonialismo e alle donne in generale, dichiarando: “aveva dodici anni, ma non mi prendere per un Girolimoni, a dodici anni quelle lì erano già donne. L’avevo comprata a Saganeiti assieme a un cavallo e un fucile, tutto a 500 lire. (…) Era un animalino docile, io le misi su un tucul con dei polli. E poi ogni quindici giorni mi raggiungeva dovunque fossi insieme alle mogli degli altri ascari”. Sembra perciò piuttosto lecito pensare che, anche se come giornalista avesse scritto articoli meravigliosi, il suo monumento andrebbe buttato giù a picconate!
A Roma fuori dal Foro Italico, ancora svetta l’obelisco con scritto Mussolini Dux, che forse portato all’interno di un museo storico potrebbe stimolare una preziosa riflessione storica, invece che restare un oggetto per sua definizione celebrativo. Diverso è un palazzo, o un agglomerato urbano, che ha una funzione che non è esclusivamente celebrativa come il monumento, ma restituisce un servizio utile alla società, per esempio all’abitare, perciò quella testimonianza, insieme ai fregi che testimoniano lo stile architettonico di un’epoca, deve essere vista da un’angolazione diversa poiché resta una testimonianza evocativa, ma non celebrativa.
Certo però, se decidessimo di abolire i monumenti diventati di cattivo esempio, chi decreterebbe quali togliere? Forse una commissione di alto livello scientifico perché altrimenti l’”epurazione” sarebbe viziosa? Ho letto qualcosa di molto interessante a questo proposito, che potrebbe chiudere la pratica con onore: urge rimuovere i monumenti che rappresentano persone indegne o movimenti politici razzisti o totalitari e violenti, quando capiamo che gli stessi principi per cui sono stati eretti, continuano ad essere qualcosa che ancora oggi o nel prossimo futuro, possono stimolare lo stesso pensiero distorto, lo stesso pericolo per la società.
Mi sembra perciò che gli esempi citati in questo articolo appartengano a queste categorie e seguendo questa logica non dovremmo perciò preoccuparci come voci indignate lamentano, delle antichità. Possono restare il Colosseo e l’Eur, per esempio, ma i monumenti a quei trafficanti di schiavi recenti in un Paese come gli Stati Uniti dove ancora una parte della popolazione è vittima di un razzismo palese o strisciante, si può lecitamente ritenere che vadano definitivamente rimossi. E se in Italia e in Europa, si dovessero notare reali rigurgiti di fascismo o nazionalismo razzista, gli obelischi o i nomi delle strade dei protagonisti di quel periodo che ha causato molta sofferenza, potrebbero essere anche sostituiti o eliminati, come hanno fatto in Germania subito dopo la guerra. Per non parlare del rispetto dovuto alle donne in un’Italia dove non si finisce mai di scoprirne la diffusa e profonda misoginia.
Il monumento di Cristoforo Colombo, forse è più giusto conservarlo a Barcellona, perchè negli USA può ancora offendere qualcuno e, anche se era un italiano pazienza, il fatto che la sua scoperta abbia aperto un mondo, ha fatto bene a noi occidentali, ma ai nativi americani, quasi totalmente annientati e ancora oggi discriminati e verso i quali non abbiamo ancora pareggiato i conti, evidentemente no. E forse dopo tanti anni di democrazia, sarebbe ora che l’Occidente rispettasse le molteplici visioni della storia nel rispetto di tutti.
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