La scorsa settimana, il collettivo PAIN, fondato e guidato dall’artista e attivista Nan Goldin, ha messo in scena una vibrante protesta nell’atrio dell’Harvard Art Museums, una delle poche istituzioni artistiche che ancora mantiene rapporti di collaborazione con la famiglia Sackler. I manifestanti si sono sdraiati sul pavimento, insieme agli studenti dell’Università, frequentata dalla stessa Goldin, prendendo di mira in particolare l’Arthur M. Sackler Museum, una delle tre istituzioni sotto l’egida Harvard Art Museums, e un altro edificio nel campus che prende il nome dallo stesso mecenate e psichiatra, tra i fondatori della Purdue Pharma, la casa farmaceutica produttrice del famigerato OxyContin, farmaco a base di ossicodone, ritenuto responsabile di migliaia di morti per overdose negli Stati Uniti.
«Come ex studentessa di Harvard, chiedo che il nome dei Sackler venga cancellato. Affermare che Arthur Sackler sia innocente è storicamente inesatto: ha progettato lo schema pubblicitario farmaceutico corrotto utilizzato da Purdue per inondare l’America di Oxy, innescando la “crisi dell’overdose” (così viene chiamato, negli Stati Uniti, il fenomeno dei decessi causati dalla prescrizioni di farmaci a base di ossicodone, ndr). È responsabile quanto uno qualsiasi dei Sackler», ha spiegato Nan Goldin.
Oltre a dirigere l’azienda, i membri della famiglia Sackler siano stati importanti donatori di musei di tutto il mondo, dal Metropolitan di New York al Louvre di Parigi. Questa relazione tossica è stata portata alla luce e all’attenzione pubblica proprio grazie alle ripetute manifestazioni di protesta di Nan Goldin. La grande fotografa, le cui opere crude e ad alto impatto sociale ed estetico sono esposte nei musei di tutto il mondo, sviluppò una forma di dipendenza dal farmaco e, nel 2017, fondò il gruppo PAIN – Prescription Addiction Intervention Now, protagonista di numerose manifestazioni. Grazie anche a questa attività, Goldin ha ottenuto numerosi riconoscimenti anche al di fuori del mondo dell’arte, mentre la sua vita e le sue lotte sono state raccontate in un documentario del 2022 girato da Laura Poitras, “All the Beauty and the Bloodshed”, vincitore del Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia.
Nell’atrio dell’Harvard Art Museums, i membri di PAIN e gli studenti hanno lanciato opuscoli e flaconi, svelando degli striscioni sui quali campeggiava la scritta “SHAME ON SACKLER”, “vergogna Sackler”. In un post su Instagram, il gruppo, che già nel 2018 organizzò una protesta all’Harvard Museum, ha affermato di risposto alle richieste degli studenti, affinché la scuola tagliasse «I legami con l’eredità dei suprematisti bianchi e dei proprietari di schiavi, i cui nomi sono esposti in tutto il campus».
«L’università ha avviato un processo per considerare la denominazione di spazi, programmi o altre entità. Una proposta per denominare l’Arthur M. Sackler Museum e l’Arthur M. Sackler Building è stata presentata ed è attualmente in fase di revisione», ha dichiarato Jason Newton, a capo della comunicazione presso l’Università di Harvard.
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