Categorie: Attualità

Nel Paese più italiano d’America: il covid-19 in Argentina

di - 16 Marzo 2020

34 contagiati e 2 morti. È questo l’ultimo bilancio del coronavirus in Argentina. L’epidemia, come era prevedibile, è giunta anche in Sudamerica e alcuni dei governi latinoamericani corrono ai ripari cercando di fare tesoro di quanto sperimentato in Cina e naturalmente in Italia. Il nostro paese in particolare è per gli argentini un sorvegliato speciale, per ragioni economiche (turistiche innanzitutto, con un flusso duplice, che vede molti argentini approdare in Italia e ancora più italiani giungere in Argentina) ma soprattutto per ragioni storiche e sociali. Com’è noto, infatti, molti nel paese sono i discendenti di italiani e altrettanti sono quelli che quotidianamente affollano l’ingresso dell’ambasciata italiana chiedendo procedure e tempi per l’acquisizione della cittadinanza. Voglia di italianità ma anche – se non più – di europeità, vien da dire.
Il paese delle Pampas, della Patagonia, dei ghiacci eterni e delle foreste pluviali dunque si prepara a combattere il temuto virus. E così mentre in un programma della televisione nazionale si parla dell’Italia come de “la zona mas peligrosa del planeta” e ci si preoccupa delle mosse di Trump anche in vista delle prossime presidenziali, il presidente Alberto Fernández, dopo una lunga consultazione con i ministri federali, emana un decreto con cui si adottano misure draconiane.

Manifestazione femminista a Buenos Aires, 9 marzo 2020

Argentina in quarantena

Da mezzanotte di giovedì 12 marzo l’Argentina è ufficialmente in quarantena. Musei, teatri, parchi nazionali (compreso il celebre Glaciar Perito Moreno) e stadi sono chiusi mentre spettacoli e cortei sospesi (anche se il 9 marzo un’imponente manifestazione femminista ha occupato le vie del centro di Buenos Aires, tra Plaza de Mayo e Plaza del Congreso, con decine di migliaia di agguerrite attiviste e un ancor più nutrito pubblico, tutti senza mascherine). Nelle chiese si tengono ancora le celebrazioni ma la conferenza episcopale ha dispensato i fedeli dal segno della pace. Mascherine e disinfettanti iniziano a scarseggiare in farmacie e supermercati. Il governo valuta in queste ore la chiusura di attività commerciali e scuole (queste ultime sono state chiuse già dalla mattina del 12 nella Provincia di Misiones, tra le più povere del paese, nonostante le Cascate di Iguazù, autentica meraviglia naturale, patrimonio dell’UNESCO, vero e proprio tesoro per la federazione argentina, con un indotto economico da 5000 visitatori al giorno e oltre un milione e mezzo l’anno). La chiusura delle scuole in particolare, che oramai appare imminente e inevitabile, preoccupa non poco, non solo per le ricadute educative ma anche per quelle economiche. L’Argentina infatti, come altri paesi sudamericani (il Messico ad esempio) conta su un imponente sistema educativo pubblico-privato, assolutamente non elitario. La chiusura delle scuole comporterebbe la sospensione del pagamento delle rette (alcune davvero esigue), con conseguente difficoltà economica per molte di queste istituzioni che non poco contribuiscono all’educazione nazionale.
Ma torniamo alle misure adottate. Per europei, cinesi, statunitensi e cittadini provenienti o che abbiano solo transitato nelle zone a rischio scatta l’obbligo della qurantena, tutti considerati “sospetti positivi” (lo stesso naturalmente vale anche per gli argentini che abbiano avuto contatti con i possibili contagiati). Le compagnie aeree si affrettano ad annullare i voli per Europa, Estremo Oriente e Stati Uniti, anche in virtù del decreto presidenziale che consente voli verso queste aree solo fino a oggi, lunedì 16 marzo. Il risultato più immediato di queste decisioni è naturalmente la psicosi, non tanto degli argentini, che sembrano ancora non preoccuparsi del contagio, quanto delle migliaia di turisti che, da nord a sud, affollano la nazione. Venerdi 13, come vuole la tradizione, è stato un giorno nero per le compagnie, che hanno visto le loro basi operative a Recoleta, vero e proprio cuore finanziario della capitale federale, prese d’assalto dai tanti passeggeri preoccupati di prolungare oltre il loro desiderio la permanenza nel Paese. Per quanto riguarda l’Italia, solo Aerolineas Argentinas e Alitalia, voleranno fino a Roma Fiumicino, ma sempre fino a oggi, e dopo la sospensione è obbligatoria fino al 10 aprile. Il dopo è ancora tutto da decidere. Ed ecco che i prezzi dei posti rimanenti volano alle stelle, e se un biglietto per l’Argentina mediamente, prima della pandemia, costava intorno ai 700 euro andata e ritorno (1200 nel periodo natalizio), ora, per Aerolineas Argentinas, è arrivato a quotare la bellezza di 2800 euro, ovviamente solo andata.

covid-19, aeroporto di Buenos Aires

La situazione nelle strade di Buenos Aires

Intanto per le strade del centro iniziano a vedersi le prime mascherine, mentre sulle autovie a scorrimento veloce che circondano la Capitale si ripetono da due giorni, su pannelli luminosi, le misure igieniche da adottare (le stesse note agli italiani) insieme al numero 107 da comporre in caso di sintomi compatibili al coronavirus. La campagna di sensibilizzazione è partita anche negli aeroporti, dove però ancora non si effettua la rilevazione della temperatura, neanche a campione.
Il presidente precisa che non rispettare la quarantena è un delitto punito dal codice penale argentino con la detenzione da sei mesi a due anni. I primi arresti non si sono fatti attendere. Ieri anche un turista italiano con sintomi compatibili al coronavorus è stato bloccato all’aeroporto internazionale Ezeiza e arrestato mentre tentava di prendere un volo per rientrare in Italia.
Le televisioni sono monopolizzate dall’argomento e non manca chi tra la gente sospetti che queste misure così drastiche nascondano verità più gravi e un contagio assai più diffuso degli esigui numeri dichiarati. La paura qui è che il clima complichi la situazione. L’estate sta finendo e il freddo potrebbe accelerare la diffusione del virus in un paese che da anni già fa i conti con i morti da gripe A e dengue. Persino il celebre rito del mate è rischio. La famosa yerba mate infatti è consumata in un rito collettivo spesso usando tutti la stessa “bombilla”.
Gli argentini ad ogni modo non si scoraggiano e ancora non rinunciano alla vita sociale. Sembrano aver fiducia nella loro sanità ma i numeri (popolazione, posti letto, risorse) di certo non li aiutano. La speranza è che il virus non intacchi la loro eccezionale vitalità ma questo solo il tempo potrà rivelarlo.

Nato a Terlizzi nel 1980, è giornalista, critico d’arte e curatore indipendente. Dopo la laurea in Conservazione dei Beni Culturali presso l'Università degli Studi di Lecce, si perfeziona sull'Arte del Novecento all'Università degli Studi di Bari. Già cultore della materia in Museologia presso l’Università degli Studi della Calabria e docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Vibo Valentia, ha condotto studi specialistici e curato mostre per Soprintendenze, istituzioni e musei.  

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