Per presentare la sua mostra al Guggenheim Museum di Bilbao, dopo la tappa alla Tate Modern, Olafur Eliasson ha sparato i fuochi d’artificio. In senso metaforico, visto che l’artista danese è apertamente schierato dalla parte ambientalista. In questo caso, infatti, al posto della polvere pirica, Olafur Eliasson ha preferito usare le parole e, in una intervista rilasciata a El Pais, ha attaccato duramente Pablo Picasso, un mostro sacro per la Spagna, paragonandolo a Harvey Weinstein, l’ex produttore cinematografico condannato per molestie sessuali.
«Penso che dobbiamo decentralizzare non solo la nostra idea dell’autore, ma anche quella dell’autorità. In tal senso, è importante avere un punto di vista più femminista, perché il patriarcato è fortemente radicato. Lo sapete molto bene qui, nel Paese di Picasso, un uomo che ha abusato di diverse donne, come un Harvey Weinstein del suo tempo, ma il cui comportamento era considerato accettabile», ha dichiarato Olafur Eliasson, parlando del movente della sua arte, socialmente impegnata nella definizione di nuovi parametri di sostenibilità. Si potrebbe quasi dire chapeau visto che, a quel punto, molti cappelli saranno sobbalzati.
Ovviamente i commenti ispanofoni si sono sprecati, equamente divisi tra chi continua a giustificare i comportamenti di Picasso e chi invece ritiene ormai improrogabile una discussione critica su certi personaggi storici. L’argomento è piuttosto spinoso e, in effetti, è al centro di un dibattito preesistente anche ai casi di #sexualharrasment che hanno travolto il mondo dell’arte e della cultura negli ultimi anni.
Olafur Eliasson è stato piuttosto esplicito e ha fatto clamore la sua dichiarazione “in casa” ma non è certo la prima volta che il comportamento di Pablo Picasso con le donne è stato messo in discussione. Questo aspetto torbido emerge in molte delle sue recenti biografie, che sottolineano il modo perverso in cui il Maestro intratteneva relazioni.
«Dora per me è sempre stata una donna che piange, è importante perché le donne sono macchine per soffrire», così Picasso parlava di Dora Maar, che oggi è stata riconosciuta come una tra le artiste più importanti del XX secolo. Maar diventò una musa per il pittore cubista. Uno dei quadri in cui ritrasse la donna è stato anche recentemente vandalizzato. Comunque, il loro rapporto era fatto di alti e bassi: «Pablo è uno strumento di morte. Non è un uomo, è una malattia, non un amante, ma un padrone», scriveva la fotografa. Passione o prevaricazione? Di certo da questa relazione Dora Maar ne uscì con gravi ripercussioni e, per guarire dal suo stato depressivo, entrò in terapia da Jacques Lacan.
Si può separare l’individuo dall’artista, dallo scrittore, dal poeta? I casi di studio sono moltissimi ma, rimanendo nel contemporaneo per evitare di sfociare nel relativismo storico, possiamo pensare a Martin Heidegger. Considerato uno dei filosofi più influenti del Novecento, studiato nelle scuole e nelle università, Heidegger appoggiò apertamente il nazismo, macchiandosi di atti infamanti e denunciando studenti, collaboratori e professori di origini ebraiche. Concludeva i suoi discorsi come rettore dell’Università di Friburgo – un incarico ottenuto proprio grazie alla sua adesione al partito nazionalsocialista – con «Hail Hitler!» ma molti suoi studenti, tra i quali anche la grande filosofa Hannah Arendt, dopo la Guerra, lo giustificarono. Sorte diversa per Louis-Ferdinand Céline, che negli anni del dopoguerra venne duramente ostracizzato e il cui linguaggio narrativo – obiettivamente affascinante, per non dire rivoluzionario – è forse anche più complesso, oscuro, di quello filosofico di Heidegger. Negli anni ’30, Céline preconizzava un’alleanza tra la Francia e la Germania, salvo poi definire Hitler «Un coglione, come tutti gli altri».
E in Italia, di esempi, ne abbiamo avuti tantissimi. Il caso più noto è quello di Gabriele D’Annunzio ma, in effetti, i suoi rapporti con Mussolini non furono mai troppo pacifici e la sua vicinanza al fascismo era dovuta più alle sue manie di protagonismo che a una reale adesione morale e politica. Ben diverso il caso di Curzio Malaparte, lo scrittore che festeggiò il turpe assassinio fascista di Giacomo Matteotti e che oggi è pubblicato da Adelphi. Oppure di Mario Sironi, interventista della Prima Guerra Mondiale, nello stesso battaglione di Umberto Boccioni, Filippo Tommaso Marinetti, Antonio Sant’Elia e Achille Funi. Sironi, che pure entrò in contrasto con un’ala del fascismo – quella più becera, se si può fare una graduatoria, quella capeggiata da Roberto Farinacci – fu tra coloro che aderirono alla Repubblica di Salò e il 25 aprile scampò alla fucilazione solo grazie all’intermediazione di Gianni Rodari. Oggi le opere di Sironi sono esposte nei maggiori musei, non solo in Italia e di certo non a torto, dal punto di vista estetico e formale.
Comunque, la questione sollevata da Eliasson su Picasso è chiaramente diversa dai casi accennati, che sono perlopiù a sfondo politico. Il caso di Picasso riguarda una probabile devianza personale, che non ha poco a che fare con l’adesione a determinati principi. Più assimilabile, invece, il caso di Indro Montanelli, che durante la sua esperienza in Abissinia, cioè in Etiopia, intrattenne rapporti sessuali con una bambina di 12 anni. Un episodio gravissimo, ancor più per un intellettuale del Novecento, e che macchierà per sempre la sua memoria. Oltre che la sua statua.
In effetti, la questione non dovrebbe essere quella di censurare o promuovere, dimenticare o ricordare. Bruciare in piazza un’opera come Guernica sarebbe un crimine e non solo nei confronti di Picasso o del Museo Reina Sofia di Madrid. E quindi, si può giudicare un’opera a partire dall’autore? Si può condannare o assolvere? La domanda è posta male, così suona meglio: si può conoscere un’opera a partire dall’autore? Sì, anzi, è necessario, inevitabile e, attraverso l’opera e l’autore, conoscere la storia, che poi è la vera autrice di ogni opera e di ogni autore. E la risposta della conoscenza, di solito, è quella giusta.
Curata da Stefano Raimondi, MOCKUPAINT di Oscar Giaconia al Museo d’Arte Contemporanea di Lissone rimarrà aperta fino al 26 gennaio…
Il 2024 l'ha dimostrato, l'architettura roboante e instagrammabile è giunta al capolinea. Forse è giunto il momento di affinare lo…
Caterina Frongia, Millim Studio, Flaminia Veronesi e Anastasiya Parvanova sono le protagoniste della narrazione al femminile in corso presso Spazio…
Sei consigli (+1) di letture manga da recuperare prima della fine dell'anno, tra storie d'azione, d'amore, intimità e crescita personale.…
Aperte fino al 2 febbraio 2025 le iscrizioni per la sesta edizione di TMN, la scuola di performance diretta dall’artista…
Fino al 2 giugno 2025 il Forte di Bard dedica una mostra a Emilio Vedova, maestro indiscusso della pittura italiana…
Visualizza commenti
Olafur Eliasson ha fatto luce (non è forse una sua prerogativa, la luce?) sul mondo dell' arte che si dice un mondo di verità e di libertà e, invece, è un mondo di soli uomini da sempre e ancora adesso. E dove ci sono solo uomini, è tristemente banale, ci sono valanghe di prepotenze e nefandezze ai danni delle donne. Prepotenze e aggressioni di ogni genere. Le donne artiste sono ancora pochissime. Vi pare possibile? Un mondo di talebani in erezione nascosti dietro pennellate, gesti scultorei, chiasmi e presunti carismi. Grazie Olafur Eliasson per aver aperto la discussione. L' Arte attraversa l' umanità senza confini, non deruba le donne di idee nè le ricatta sessualmente perchè possano entrare nei musei, nelle gallerie, nelle scuole e, soprattutto, nella Storia. Allora ammettiamo che la storia dell' arte è stata quasi sempre una mediocre storia di potere.
L' Arte è un' altra cosa, una cosa seria.
credo che questo piccolo uomo che vive del lavoro degli altri e solo di parole dovrebbe andare ad imparare un mestiere possibilmente artigiano e poi vedere cosa gli esce di bocca.
A mio parere bisognerebbe riconsiderare Picasso non solo come uomo, ma anche come artista. Ha dominato la pittura del Novecento, certo; secolo nel quale, come diceva Jean Claire, dobbiamo ahimè registrare la fine di una tradizione figurativa che durava da trentamila anni. Picasso c'entra? Sì, con le sue meschine furbizie e rapidi mutamenti di stile con cui riusciva comunque a restare sulla cresta dell'onda. È stato anche malvagio con le donne? Be', non mi stupisce affatto
http://il-lato-oscuro.blogspot.com/2009/11/odio-picasso.html?m=0
Credo che Picasso vada ripensato sia come uomo che come artista. Ha dominato il Novecento, è vero: secolo in cui, seguendo Jean Claire, è terminata una tradizione figurativa che durava da trentamila anni. Con i suoi meschini trucchetti e i suoi repentini salti di stile è riuscito a rimanere sì sulla cresta dell'onda, ma attorno è finito tutto. Quindi non mi stupisce che fosse anche malvagio con le donne, è coerente con il personaggio http://il-lato-oscuro.blogspot.com/2009/11/odio-picasso.html?m=0