La vicenda del Coronavirus ha messo in luce numerose debolezze sistemiche che, a livello globale, rendono vulnerabili il nostro sistema sanitario, il nostro sistema delle comunicazioni, ma anche i meccanismi sociale e produttivo.
Sono questi i reali punti deboli che hanno consentito al virus di assumere un livello di pericolosità che, da solo, non avrebbe avuto.
Ribadirlo non nuoce: l’allerta è dovuta al fatto che il nostro sistema sanitario non è in grado di ospitare sufficienti posti letto in terapia intensiva e sub-intensiva. Il tasso di mortalità è inferiore ad altre pandemie che abbiamo già vissuto.
Non si tratta di “salute”, ma di organizzazione.
Allo stesso modo, la mancanza di coordinamento tra il potere politico e la stampa ha generato il panico, già prima dell’esodo stupido e irresponsabile da Milano.
Di nuovo, non è letale il virus, ma la mancanza di organizzazione.
E ancora: alla diffusione della notizia che le direttive, sino a quel momento valide per le sole zone rosse, sarebbero divenute operative in tutta la penisola, la reazione delle persone che sono corse a fare la spesa nei supermercati aperti 24 ore non è altro che il riflesso di una società che semplicemente non sa leggere. Possiamo parlare di analfabetismo funzionale, o di ritorno. La verità è che queste persone si sono affastellate al supermercato, come qualche giorno prima alle stazioni, semplicemente perché non sanno né leggere, né pensare.
Qui non c’entra il virus, ma una debolezza sistemica del nostro sistema sociale.
Tutte queste inefficienze, tutte queste debolezze sistemiche, non hanno fatto altro che rendere più significativi gli impatti del virus sulle nostre vite.
L’esempio più eclatante è l’esodo da Milano. In questo caso il Governo, che di errori ne ha fatti tanti, aveva avuto la giusta ed elementare accortezza di varare un provvedimento restrittivo a borse chiuse.
L’esodo ha invece reso necessario avviare dei provvedimenti ancora più forti durante la settimana. I due episodi non hanno fatto altro che rendere ancora più forte l’impatto sul mercato finanziario e per chi non abbia ancora ben chiaro cosa ciò significhi è semplice: riduzione dei rendimenti degli investimenti e riduzione del valore di mercato delle nostre imprese.
Di nuovo, non è stato il virus a creare una reale difficoltà, ma l’incapacità di guardare a quanto già avvenuto nella storia dell’umanità ed evitare gli errori precedentemente commessi.
La cultura è l’unico reale strumento che abbiamo per evitare che quanto accaduto in questo periodo in Italia si reiteri.
Dobbiamo cogliere questo momento di difficoltà come una grande opportunità: il nemico, al momento, è un virus che non presenta elevati tassi di mortalità. La prossima volta potremmo non essere altrettanto fortunati.
Chi fa cultura deve comprendere la propria responsabilità sul versante sociale: comprendere il ruolo della pubblica lettura e dell’istruzione. Lo deve fare il teatro, la musica e la letteratura. Lo deve fare il cinema. E questo soltanto sul versante contenutistico.
Chi fa cultura deve, adesso, comprendere “nuove modalità” di erogazione, sfruttare nel migliore dei modi la grande potenzialità che i mezzi tecnologici può fornirci e proporre “modalità alternative” di fruire le città, fruire i contenuti.
Soprattutto, capire quali azioni compiere, in questo momento, per assicurare una fortissima ripartenza. La grande lezione che dobbiamo imparare è comprendere che visitatori e turisti, non devono essere dati per scontato.
Il punto è fondamentale: comprendere che Musei e Città d’Arte devono raggiungere, così come qualunque altro prodotto o servizio, il proprio pubblico potenziale. Questo significa adottare delle modalità organizzative nuove, in grado di porre “visitatori e turisti” al centro dei processi di creazione del valore, sia che si tratti di fruitori di attività pubbliche o private.
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