Categorie: Attualità

Qualcuno ha spostato i lupi di Liu Ruowang a Napoli

di - 27 Gennaio 2020

«Quando giocavi con Maradona il problema non era se ma quando avrebbe segnato». Lo ripeteva come un mantra Arrigo Sacchi, allenatore del Milan stellare di fine anni ’80 che avrebbe vinto tutto. Diego, el d10s, è metafora dell’inevitabilità degli eventi che, seppur non certi, avverranno in ogni caso. Come il destino di un’opera d’ arte, di un manufatto, di un murales a Napoli. Succederà qualcosa, non sarà lasciata a se stessa. Impossibile. Tutti ci aspettavamo qualcosa e alla fine è successo anche ai Wolves Coming, l’installazione dell’artista cinese Liu Ruowang, presente in Piazza Municipio di Napoli fino al 31 marzo, composta da 100 lupi minacciosi e da un guerriero solitario, a testimoniare «il legame tra cultura tradizionale e mondo moderno». Poche cose, per carità. Un naso dipinto di rosso e qualche lupo spostato dalla propria sede. D’altronde lo stesso artista aveva detto che lo scopo dell’opera era quello di una «Interazione totale, senza distanza, tra i visitatori e l’arte stessa».

La “vivacità” partenopea: un caso da storia dell’arte

Siamo certi che Ruowang, artista di Shaanxi, provincia nord-occidentale della Cina, quando ha pronunciato queste parole era consapevole delle vicende dei monumenti e delle installazioni a Napoli. A cominciare dal ripetuto abbattimento (del tutto gratuito) della statua di gesso di Carlo III di Borbone nel Foro Carolino (oggi Piazza Dante) o della leggende di un prete che, durante i moti garibaldini del 1860, salvò le due statue equestri di bronzo in Piazza Plebiscito, sempre Re Carlo e Ferdinando I delle Due Sicilie. Aveva assicurato alla folla inferocita che si potevano «cambiare le teste» con quelle di Garibaldi e di Vittorio Emanuele II.

Esattamente quella famosa “vivacità” tutta napoletana, proseguita anche in anni recenti. È il caso della Montagna di Sale di Mimmo Paladino (1995), scalata da ragazzini napoletani, o dei Teschi di Rebecca Horn (2002), fusi in ghisa e incollati al pavimento, eppure immediatamente trafugati o danneggiati. E ancora della “piazza nella Piazza”, la spirale di Richard Serra (2003), luogo nascosto, ottenuto con fogli d’acciaio sempre a Plebiscito, da sfruttare liberamente e non sempre per moti di passione romantica. O del cappello sottratto dalla lastra d’acciaio dell’opera di Jannis Kounellis (2001), nella fermata Toledo della Linea 1 della metropolitana. Pur non godendo di ottima stampa, queste “gesta” sono spesso ricordate come racconti a margine, a completamento delle opere che accompagnavano.

Atti vandalici, gratuiti e odiosi, non sono mai mancati: un caso su tutti la Fontana di Monteoliveto, imbratta da vernice spray e invasa da bottiglie e lattine o i numerosi lavori di street art, cancellati o rovinati: Il Bacio di Adriana Caccioppoli in via San Pietro a Maiella, il corpo di Pasolini di Se Torno, poster di Ernest Pignon Ernest a Santa Chiara, la celebre Estasi di Santa Teresa di Banksy (2010) a via Benedetto Croce, i manifesti elettorali dell’ormai più celebre Stanislao Lanzotti sui lavori di Vascio Art di Roxy in the Box. Ma tutto vale, come per o Cippo e’ Sant’ Antuono o per la l’ormai classica disfida tra forze dell’ordine e babygang in Galleria Umberto I per la conquista dell’albero di Natale, da rubare o abbattere.

Chi può decidere il senso dell’installazione di Liu Ruowang a Napoli?

«Così l’installazione non ha più senso». Nel caso di Liu Ruowang qualche lupo è stato rivolto verso il mare di Napoli anziché contro la figura umana, mentre la mano misteriosa ha anche ricreato una singolare composizione di 3 animali in fila, nella tipica postura canina di annusarsi il posteriore. Uno strano gioco di forme e azioni, di riposizionamento creativo di oggetti che arrivano a pesare singolarmente quasi 280 kg. Un lavoro di squadra, forse un collettivo situazionista? Tutto può essere a Napoli, anzi tutto avverrà, statene certi.

Non vogliamo certo insinuare che qui si aggirino personaggi alla Yuan Cai o Jian Jun Xi, che interagirono, rispettivamente, con My Bed di Tracey Emin e con la Fontana di Marcel Duchamp, o che ci sia un soggetto collettivo creativo. Diciamo che lo spazio pubblico ha qualcosa di diverso, come un’anima nera, distruttiva ma anche iconoclasta e immaginativa.

Quantomeno, devi sapere che quando lasci qualcosa per strada, a Napoli, è un po’ come scendere in campo con Diego, el Dios. E lui non gioca nella tua squadra.

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