Mentre le trattative di pace sembrano procedere a rilento e i bombardamenti si intensificano intorno alle principali città ucraine, con bombardamenti sempre più pesanti e l’intervento di truppe di paracadutisti dell’esercito della Federazione Russa per occupare la città di Karkiv, il mondo dell’arte continua a far sentire la propria voce, anche dalla stessa Russia. Sono più di 17mila i lavoratori russi della cultura e dell’arte ad aver firmato una lettera aperta contro la guerra con l’Ucraina.
«Noi, artisti, curatori, architetti, critici d’arte, art manager, rappresentanti della cultura e dell’arte della Federazione Russa, abbiamo avviato e firmiamo questa lettera aperta, che noi considerano insufficiente ma necessaria, un’azione sulla via della pace tra Russia e Ucraina», si legge nella lettera, pubblicata su Google Docs. «A nome della comunità professionale, è importante per noi affermare che l’ulteriore escalation della guerra comporterà conseguenze irreparabili per i lavoratori delle arti e della cultura. Questo eliminerà le nostre ultime opportunità di lavorare, parlare, creare progetti, diffondere e sviluppare la cultura», continua il testo, che poi fa riferimento anche alle pesanti sanzioni economiche alle quali è stata sottoposta la Russia e che, come spesso accade, avranno ripercussioni soprattutto sui settori più deboli e precari, già colpiti dalla crisi pandemica. «Tutto ciò che è stato fatto culturalmente negli ultimi 30 anni è ora a rischio: tutti i legami internazionali saranno interrotti, le istituzioni culturali private o statali saranno sospese, le partnership con altri Paesi saranno sospese. Tutto ciò distruggerà la già fragile economia della cultura russa e ridurrà notevolmente il suo significato sia per la società russa che per la comunità internazionale nel suo insieme. Sarà quasi impossibile impegnarsi nella cultura e nell’arte in tali condizioni».
La lettera è stata sottoscritta da migliaia di lavoratori ed è diffusissima nell’ambiente culturale russo ma forte è il timore di rappresaglie. Secondo quanto riportato da Artnet, Katya Dolinina, manager di due teatri a Mosca, si è dimessa a seguito di pressioni il 28 febbraio, tre giorni dopo aver aggiunto il suo nome alla missiva. Dolinina è stata prima contattata dall’amministrazione del teatro, «Avevo la possibilità di scrivere una dichiarazione in cui si affermava che il mio nome era apparso sulla lettera per errore», ha detto Dolinina ad Artnet News: «Ho rifiutato».
Ma questa intollerabile intimidazione perpetrata dal sistema allineato trova un contraltare tristemente simile, sia nei toni che negli effetti, anche dall’altra parte della barricata. Se a Mosca si piange, a Milano non si ride: difficile non cogliere un riferimento alla diffusa campagna di censura e ostracismo che sta colpendo la cultura russa (ma anche altri settori popolari come lo sport, con la FIFA che impedisce alla nazionale russa di disputare le partite di calcio ma chiude gli occhi di fronte alla situazione disperata dei lavoratori-schiavi del Qatar, dove si terranno i prossimi mondiali). A partire dall’assurdo e violentissimo atto di intimidazione pubblica del sindaco della città meneghina, Beppe Sala, nei confronti del direttore d’orchestra Valerij Gergiev.
L’ultimo caso, riguarda l’Italia ed è ancor più crudele, nella sua sfumatura grottesca: l’Università Bicocca di Milano ha deciso di sospendere le lezioni dedicate a Fëdor Dostoevskij, curate dallo studioso di letteratura russa e scrittore Paolo Nori, autore, tra gli altri volumi, di “I russi sono matti. Corso sintetico di letteratura russa 1820-1991”. «Mi viene da piangere solo a pensarci. Ma quello che sta succedendo in Italia oggi, queste cose qua, sono ridicole: censurare un corso è ridicolo», ha scritto Nori su Instagram. «Non solo essere un russo vivente è una colpa oggi in Italia, ma anche essere un russo morto, che quando era vivo nel 1849 è stato condannato a morte perché aveva letto una cosa proibita lo è. Che un’università italiana proibisca un corso su un autore come Dostoevskij è una cosa che io non posso credere, quando ho letto questa mail non ci credevo».
Nella sua vita, Fëdor Michajlovič Dostoevskij ne passò diverse, tra le altre fu arrestato per attività sovversive sottolo Zar Nicola I e condannato a morte ma – per sua e per nostra fortuna – la pena fu revocata a pochi istanti dall’esecuzione. Da quella esperienza trasse l’ispirazione per “Memorie dalla casa dei morti”, uno dei romanzi più potenti della letteratura moderna europea. Cancellare questo patrimonio e la sua conoscenza – anche solo ipotizzarlo, anche solo revocare alcune lezioni in un’università – è un atto di barbarie (con il dovuto rispetto per i “barbari”, che nella lingua latina erano gli “stranieri”).
E meno male che il corso non era su Gogol, visto che questo altro gigante della letteratura russa nacque il primo aprile 1809 a Velyki Soročynci, in Ucraina. Proprio sulla storia di quei territori sono incentrate alcune sue opere più importanti e lette, come “Taras Bul’ba”. Ma Gogol visse e morì in Russia e alla società russa dedicò racconti altrettanto formidabili, come la raccolta di Pietroburgo. La Bicocca l’avrebbe censurato? Probabilmente il meccanismo sarebbe andato in tilt, un bello scherzo postumo da parte di Gogol, le cui pagine delle “Anime Morte” contengono alcuni dei passi più esilaranti della storia della letteratura scritta.
Già l’abbiamo scritto in più occasioni, seguendo la cronaca legata all’arte di questi tristi eventi: la cultura rappresenta un’ideale di apertura e di condivisione e in un’occasione del genere sarebbe ancor più prezioso il coraggio di diffondere la libera conoscenza, evitando di radicalizzare la politica – l’arte lo è sempre, quindi in un certo senso non lo è mai – nell’ideologia. Il rischio è alto e, in parte, con le dovute proporzioni, l’abbiamo già sperimentato durante alcune fasi della pandemia: riguarda non solo la perdita della razionalità, della chiarezza e della prospettiva, ma anche la delega delle responsabilità del pensiero e delle azioni, a favore del cieco e bieco terrore e di chi lo controlla e lo fa germinare.
La 59ma Biennale d’arte di Venezia, in apertura ad aprile 2022, sarà ricordata anche per le porte chiuse dei Padiglioni della Russia e dell’Ucraina ma questa “negazione” di spazio potrebbe rappresentare un’occasione significativa, per trasformare questa crisi in un’opportunità di dialogo, magari ospitando progetti a tema – sia russi che ucraini – nei Padiglioni delle altre nazioni. In questo senso, meritevole – anche se parziale – è l’iniziativa di Triennale Milano che ha assicurato che il Padiglione dell’Ucraina, in occasione della 23ma Esposizione Internazionale, si farà. Triennale promuoverà anche “Planeta Ukrain”, una piattaforma di confronto in preparazione del Padiglione dell’Ucraina, curata dallo scrittore Gianluigi Ricuperati con l’attrice Lidiya Liberman e la pianista Anastasia Stovbyr.
Su Google Docs c’è anche un’altra lettera, firmata nello specifico da architetti e urbanisti. «La guerra svaluta l’essenza stessa dell’attività di architetto e urbanista, indipendentemente dal paese in cui si trova. Viola i diritti delle persone: alla vita, alla sicurezza, all’autorealizzazione, a un ambiente confortevole e salubre: tutti quei valori che sono alla base delle nostre attività», si legge nel testo, sottoscritto da più di 6mila persone.
Per raccogliere tutte le petizioni che stanno circolando su internet in merito alla fine delle ostilità tra Russia e Ucraina, è stato aperto un sito con dominio russo, significativamente intitolato “we are not alone”: «Questo sito contiene lettere aperte, appelli e dichiarazioni per fermare le ostilità e ripristinare la pace tra Russia e Ucraina. Vogliamo che tu sappia che insegnanti e premi Nobel, medici e designer, giornalisti e architetti, scrittori e sviluppatori, persone provenienti da tutto il paese sono con te. Non siamo soli». Sul sito le varie petizioni sono indicizzate anche per categorie e settori, dall’informatica al commercio, dalla scienza all’educazione. Al momento, la petizione più sottoscritta è su Change.org ed è arrivata a più di un milione di firme e potrebbe arrivare a essere quella più firmata, in tutto il mondo, nella storia della popolarissima piattaforma.
[Aggiornamento, ore 12:10. Spinta dall’opinione pubblica, l’Università di Milano Bicocca ha fatto un passo indietro e ha reso noto che il corso su Dostoevskij di Paolo Nori si terrà nei giorni stabiliti e tratterà i contenuti già concordati con lo scrittore. «Inoltre, la rettrice dell’Ateneo incontrerà Paolo Nori la prossima settimana per un momento di riflessione», si legge nella nota]
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