Manca poco meno di un anno al 3 novembre 2020, giorno in cui si terranno le 59esime elezioni della storia degli Stati Uniti. Il primo mandato di Donald Trump sta volgendo al termine in un contesto internazionale estremamente faticoso ma con un’economia interna che segna incredibilmente l’undicesimo anno di espansione. Com’è noto, il percorso che porta alla selezione dei candidati alla presidenza degli USA prevede lo svolgimento di primarie interne ai partiti. Mentre tra i repubblicani per Mr. Trump non sembrano esserci sfidanti (se non di facciata), pochi giorni fa si è tenuto il settimo dibattito televisivo tra i candidati democratici, con i caucus dello Iowa che si terranno il 3 febbraio. Il dibattito è stato molto seguito non solo perché l’ultimo valido prima dell’inizio delle primarie, ma anche e soprattutto a causa di una polemica emersa poche ore prima tra i senatori Bernie Sanders ed Elizabeth Warren. Sembrerebbe che durante un incontro privato avvenuto tra i due nel 2018, Sanders abbia espresso la convinzione che un candidato donna non sarebbe in grado di vincere la corsa presidenziale contro Trump. Il senatore del Vermont ha smentito categoricamente le accuse rivolte dallo staff della Warren che, a sua volta, non ha insistito più di tanto ma è riuscita a portare il dibattito sulla questione di genere.
Tuttavia, al di là delle beghe interne al partito e dei relativi tatticismi, ciò che è interessante notare è come la candidatura di Sanders stia emergendo come quella più credibile. È infatti al primo posto in numerosi sondaggi democratici sia in Iowa che in New Hampshire, a breve distanza dal primo candidato in Nevada e ha ridotto lo svantaggio nazionale con Joe Biden. È diventato il volto dell’opposizione agli attacchi militari contro l’Iran, collaborando con il rappresentante Ro Khanna per introdurre il No War Against Iran Act.
Si è poi schierato contro il piano di Trump di tagli alla sicurezza sociale. Queste posizioni sono già enormemente popolari nella base democratica e possono aprire un breccia nella più ampia fetta di elettori che Sanders deve convincere, se vuole ambire a diventare presidente. Questi argomenti hanno avuto inoltre il merito di far concentrare negativamente l’attenzione su Joe Biden, ancora primo nelle proiezioni nazionali, che votò per la disastrosa guerra in Iraq di George W. Bush e che ha ripetutamente chiesto tagli alla sicurezza sociale.
Nonostante i sondaggi però, Sanders sta combattendo due grandi battaglie: una contro i suoi front-runner più forti (la Warren e Biden, appunto) e l’altra contro un potentissimo e pervadente establishment politico finanziario-militare. Gli attacchi diretti alla sua candidatura provengono da parti eterogenee.
Ma perché tanto timore di questo quasi ottuagenario, con l’aria da nonnino benevolo che solo pochi mesi fa ha superato un attacco di cuore? È veramente un pericoloso bolscevico? Quasi sicuramente no ma, probabilmente, per il contesto americano le precauzioni con qualsiasi cosa abbia vagamente a che fare con la sinistra non sono mai abbastanza. Sanders è stato etichettato come socialista democratico, definizione che fa sorridere perché può voler dire, al massimo, che stiamo parlando di un socialdemocratico, appunto. Questa però è semplicemente la visuale di un europeo. Chi conosce anche un minimo il contesto americano sa quanto terrore possano provocare nell’interlocutore parole come Socialism, o peggio, Communism. Un terrore atavico, attribuibile alle svariate ondate di epurazione del fenomeno negli USA nonché a una retorica stelle e strisce talmente radicata nel discorso pubblico da essere oramai immarcescibile.
Anche se non è questo il luogo per approfondire la storia dei movimenti socialisti statunitensi, è da sottolineare come a livello globale le proposte più radicali nel campo della sinistra arrivino proprio dai Paesi anglosassoni, storicamente meno inclini a questo tipo di retorica. Infatti, osservando le sinistre occidentali europee non anglosassoni si assiste a una lunga traversata del deserto, con un processo di rielaborazione che in alcuni casi porta allo strenuo tentativo di arginare le destre sovraniste con la retorica del buon governo e di un neoliberismo più temperato, mentre in altri porta all’estinzione dei partiti socialisti storici con conseguente travaso di voti nei green party.
In UK, nell’ultima tornata elettorale, e ora negli Stati Uniti, avviene invece che il dibattito veda la sinistra più radicale prendere le redini dei partiti principali e portare così al centro dell’agenda politica quelle che dovrebbero essere le rivendicazioni di base della socialdemocrazia. Questo non vuol dire che sull’intero complesso elettorale queste idee siano maggioritarie (il tracollo del Labour guidato da Corbyn ne è una palese dimostrazione) ma semmai che in Paesi dove lo stato sociale è praticamente inesistente e l’ipertrofia capitalista vede il suo massimo fulgore, questo tipo di teorie un tempo impensabili stanno convincendo una grossa parte dell’opinione pubblica.
I punti programmatici alla base del programma elettorale di Sanders seguono lo schema sopra descritto e sono essenzialmente quattro: College for all, Medicare for all, Jobs for all, Justice for all. Un programma tanto semplice quanto rivoluzionario per un Paese dove il debito universitario è diventato inestinguibile per la maggior parte degli studenti e la sanità pubblica è un concetto lunare. Non stupisce perciò che Bernie Sanders stia riuscendo a ottenere il sostegno di una larga parte di millenials americani, giovani youtuber, blogger, influencer. Tutti alleati strategici nel contesto contemporaneo in cui i meme e i social network indirizzano l’opinione pubblica. E anche l’esito delle elezioni, come visto con l’Alt Right nella tornata elettorale precedente.
Ma non c’è solo questo: Bernie Sanders è l’unico candidato presidenziale che ha presentato un vero New Deal verde, un piano per riorganizzare radicalmente l’economia americana. Il suo Green New Deal vorrebbe smantellare l’industria dei combustibili fossili e sostituirla con un sistema di energia rinnovabile sotto controllo democratico, lavorando con i governi di tutto il mondo per raggiungere «ciò che la scienza richiede e non è più rimandabile». Il piano di Sanders, che si basa sulla risoluzione introdotta dalla delegata al Congresso Alexandria Ocasio-Cortez, astro nascente dei giovani democratici dalla quale Sanders ha ottenuto il sostegno, e dal senatore Ed Markey, è talmente radicale da prevedere di raggiungere elettricità e trasporti rinnovabili al 100% entro il 2030 e la piena decarbonizzazione entro il 2050, attraverso una enorme spesa pubblica (16,3 trilioni di dollari) e riorientando le risorse destinate alle «spese militari per salvaguardare gli interessi americani nel petrolio».
Lo slogan della campagna Sanders, l’ottimo “Not Me. US.”, si contrappone al prevedibile “Keep America Great” del presidente uscente e vuole invitare gli americani ad impegnarsi in una massiccia azione collettiva per trasformare il paese.
I suoi Key Points, provando a dare un nuovo colore al sogno americano, lasciano intravedere la realizzazione di un’utopia socialista. Sarebbe grandioso se l’enorme programma di Bernie Sanders (consultabile sul sito della sua campagna) si concretizzasse anche soltanto al 30% ma i dati ci parlano di un’altra realtà quasi sicuramente maggioritaria. Quell’America rurale delle aree interne che aveva sostenuto Trump è ancora tutta lì pronta a seguirlo. Tutti gli indici di fiducia sia sul fronte consumi che su quello del lavoro sono ai massimi. Gli economisti non hanno mai visto una fase espansiva tanto lunga e temono che prima o poi si presenterà il rischio di una crisi esplosiva ben peggiore di quella del 2008. Tuttavia al momento la situazione sembra più florida che mai e anche le controversie sui dazi con la Cina sono state disinnescate. Inoltre c’è da considerare che l’enorme ed efficacissimo apparato elettorale repubblicano non si è ancora messo in moto.
Non c’è molto da illudersi quindi. Plausibilmente il 2020 vedrà un secondo storico mandato per Trump e per l’internazionale sovranista. Ma se il vecchio Sanders riuscisse almeno a vincere la candidatura democratica darebbe un fortissimo segnale alle sinistre asfittiche di tutto il mondo.
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