Exibart ha chiesto ad alcuni tra i più affermati artisti indiani che lavorano tra Mumbai (Dhruvy Acharya, Atul Dodhya, Archana Hande, Jitish Kallat) e New Delhi (Raqs Media Collective e Mithu Sen) e a un’artista che vive tra l’India e gli Stati Uniti (Annu Palakunnathu Matthew) di raccontare come stanno vivendo, dal punto di vista professionale e personale, questo momento così straordinario e drammatico, e in che modo pensano che il loro Paese potrà affrontare l’emergenza Covid-19. Qui potete leggere prima parte dell’intervista, di seguito la seconda puntata.
Mithu Sen, che ha presentato la performance Un)Mansplaining alla scorsa Biennale di Venezia, è un’artista/poetessa che lavora con diversi media tra cui disegno, poesia, installazione, suono. Secondo lei possiamo considerare questa pandemia una guerra dei nostri tempi?
«Pur esitando a invocare la guerra come parallelo per questa pandemia, sono d’accordo sul fatto che questa situazione è tanto nuova quanto il virus. Sta diventando sempre più evidente che il nostro mondo sta cambiando, anzi è già cambiato, incommensurabilmente. Ho anche paura di come questo virus si stia realmente diffondendo generando una mutazione delle gerarchie culturali e politiche esistenti, non solo all’interno degli Stati nazionali, ma anche tra di loro. Ci presenta ancora una volta un modello di politica di protezionismo, non di autoriflessione e autovalutazione di cui invece abbiamo bisogno con la massima urgenza.
La decomposizione, la morte e la distruzione portate avanti dal virus stanno potenzialmente spostando il significato di guerra e di devastazione. Quando abbiamo perso così tante vite nella nostra storia a causa di qualcosa di così intangibile? Penso che la risposta a questa domanda rivelerà quanto sia insolito ciò che sta accadendo».
Archana Hande conosce molto bene la vita degli slum e l’ha portata dentro alcuni dei suoi lavori come “All is fair in magic white” presentato anche alla galleria Z2O di Roma. A lei abbiamo chiesto come pensa che la “distanza sociale” possa essere applicata in condizioni di vita in cui 1 milione di persone circa vive in 1.7 km², (in riferimento al solo slum di Dharavi, nella città di Mumbai).
«Le norme e le regole sociali legate a questo virus sono solo per le persone privilegiate: dal lavarsi le mani a stare a casa, a mantenere la distanza di un metro, sono regole di base solo per gente che appartiene alle classi medio-alte. I cittadini indiani hanno sempre vissuto in questo tipo di minacce, persino peggiori. Allora la domanda principale è: qual è la minaccia ora e per chi? In condizioni normali questa situazione non è rara per il 75% della popolazione. Forse è la classe medio-alta ad essere preoccupata adesso.
Vedo il pericolo di una rapida conversione con cui il mondo può diventare una dittatura. Tanto il virus è della nuova generazione che sembra sia venuto per aiutare il potere dittatoriale ad avere successo. Quindi siamo pronti a vedere una società ripulita, libera dai poveri e libera da religioni, lingue, caste o classi indesiderate?».
Athul Dodya è un artista che ha esposto anche alla Biennale di Venezia 2019, molto sensibile ai fenomeni sociali, è stato profondamente segnato dagli eventi che hanno scosso l’India nel 2002. Pensa che questo evento unico possa in qualche modo influire sui suoi prossimi lavori e, in caso affermativo, come?
«È un periodo molto insolito. Inquietante e deprimente. Al momento non sono sicuro se influenzerà il mio modo di pensare, o aggiungerà qualcosa di speciale al mio lavoro. Può darsi. Ma certamente influenzerà il modo in cui pensiamo alla vita e il modo in cui diamo la vita per scontata.
Per quanto riguarda il processo creativo, le cose non cambiano da un giorno all’altro. Al momento non siamo nemmeno sicuri di come questa malattia sarà affrontata nei prossimi giorni. Per me è troppo presto per parlare delle possibilità che influenzi il mio lavoro futuro».
Raq Media Collective è un collettivo composto da Jeebesh Bagchi, Monica Narula e Shuddhabrata Sengupta, che esplora, attraverso progetti mediatici, il mondo rimodellato dalla globalizzazione. A loro abbiamo chiesto quale potrebbe essere l’impatto economico, sociale e culturale di questo lockdown in India.
«L’esodo di massa di lavoratori dalle città che è avvenuto a pochi giorni dall’annuncio del lockdown ci ha mostrato che, istintivamente, la gente sapeva che l’economia stava affondando rapidamente. Ed evidentemente c’era una totale mancanza di fiducia nella capacità dello Stato di fornire sostegno alla popolazione.
Lo stato prova nuovi trucchi di repressione. Alcuni funzionano, altri no. I limiti sono messi alla prova, politicamente e socialmente, e la situazione è logora. Gli ultimi tre mesi avevano visto grandi sconvolgimenti e speranze, perché la gente prendeva molto sul serio ciò che significa “cittadinanza” in risposta al tentativo di far passare una legge discriminatoria. Le strade delle nostre città erano diventate luoghi di un nuovo tentativo di creare una democrazia dei fatti (La nuova legge sulla cittadinanza, voluta dal premier Modi, agevolerebbe l’ottenimento della nazionalità indiana a un gran numero di immigrati provenienti dal vicino Bangladesh, dal Pakistan e dall’Afghanistan, purché non musulmani, riguardando dunque le comunità hindu, sikh, jainiste, cristiane, buddhiste e parsi. Secondo l’opposizione, il provvedimento rappresenta una rottura fondamentale con il principio di laicità dello Stato indiano sancito dalla Costituzione, ndr).
La pandemia ha cambiato tutto in un giorno. I luoghi di speranza e di protesta si sono svuotati. La musica della solidarietà adesso tace. Viviamo nella speranza che, una volta che il virus recederà, una nuova forma di socialità ritornerà, rafforzata e viva».
[Il reportage si conclude nella prossima puntata, con le interviste a Jotish Kallat,Dhruvi Acharya e Annu Palakunnathu Matthew]
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6 giugno 2019
Profumo di tiglio
profumo di antico
profumo di nostalgia
respiro profondamente
quasi a trattenere dentro
il ricordo
per un attimo
non sono qui
non so neanche
dove sono
nel profumo
inebriante
dolorosamente
nostalgico
di un altrove