L’emergenza Coronavirus ha messo in evidenza, in maniera drammatica, tutte le contraddizioni del nostro sistema economico e produttivo e, adesso, sembra che la scelta sia obbligata. Seguire metodi alternativi di sviluppo sostenibile oppure rassegnarsi. E questa rimodulazione dei rapporti di forza, delle modalità di produzione dei beni e della fruizione dei servizi, riguarda tutti i settori, a ogni livello. La cultura è l’arte sono certamente tra i più penalizzati, d’altra parte si tratta anche degli ambiti più “agili”, visto che, in linea di massima, si lavora con il pensiero e, quindi, proprio da qui, dalle idee proposte in questo segmento di esistenza, si potrebbe pensare di ripartire. Ma in ogni caso, anche il pensiero ha bisogno di mezzi di sussistenza e molte realtà sperimentali e di ricerca, quelle endemicamente meno strutturate rispetto ai grandi attori che pure stanno soffrendo – qui l’interessante punto di vista di Arthemisia – sono ormai allo stremo. Già in diverse occasioni abbiamo raccolto testimonianze in tal senso e ci torneremo più diffusamente nell’approfondimento per il nostro sondaggio dedicato al lavoro culturale ai tempi del Covid-19. Qui pubblichiamo la lettera aperta scritta da Numero Cromatico, centro di ricerca che coniuga arte e scienza e di base al Pastificio Cerere, a Roma.
Chi conosce Numero Cromatico sa che in questi anni non siamo mai entrati nel merito delle politiche culturali adottate nel nostro Paese. Abbiamo sempre avuto fiducia nel futuro e nella possibilità di cambiamento. Abbiamo aspettato che gli organi di governo preposti dessero giusta dignità alla ricerca in ambito artistico.
Purtroppo, ormai a quasi dieci anni dalla nostra fondazione, (con rammarico) dobbiamo constatare che non è cambiato nulla. L’Italia, paese in cui sono nate le Accademie di Belle Arti, è una delle poche nazioni al mondo in cui non è ancora prevista la ricerca, in nessuna forma.
Non esistono dottorati di ricerca, non vengono erogati assegni o finanziamenti ad hoc, non esiste l’impianto organizzativo, logistico e legislativo presente invece in omologhi istituti universitari in Italia e nel resto del mondo.
Certo, negli ultimi anni sono stati emanati diversi bandi di finanziamento per attività artistiche, nazionali e locali, pubblici e privati. Ma si tratta di palliativi, una sorta di balsamo per le coscienze di chi li pubblica e spicci saltuari nelle tasche di chi spesso i fondi a disposizione già li ha. Questi inoltre vengono erogati per progetti di breve respiro, per eventi singoli o sporadici e spesso per pagare le spese di produzione come, ad esempio, i costi vivi di una mostra o di un’opera. In questi bandi si scelgono i vincitori in base al CV, al numero di mostre, alla quantità di pubblico potenzialmente raggiunto, al numero di workshop o laboratori previsti per coinvolgere la cittadinanza, all’appartenenza a istituzioni o fondazioni pubbliche o private. Bandi in cui per la scrittura del “progetto scientifico” (quando viene richiesto) sono previste lo stesso numero di battute delle “strategie di comunicazione”.
Ma da quando il valore culturale di una ricerca estetica si valuta in base al numero di mostre presenti in un curriculum?
Il blocco totale delle attività, dovuto alla tragica situazione che stiamo vivendo, ha fatto emergere quanto sia fragile il sistema in cui operiamo, ma soprattutto, quanto questo non tenga in considerazione realtà come la nostra.
Dal 2011, abbiamo portato avanti un’idea di ricerca artistica innovativa e senza precedenti, producendo mostre, conferenze, masterclass, eventi e pubblicazioni.
Lo abbiamo fatto con economie provenienti principalmente dalle nostre tasche.
È indubbio che le associazioni culturali, gli spazi indipendenti e gli enti del terzo settore, siano la spina dorsale delle idee, delle iniziative, delle teorie e dell’aggregazione nel nostro paese. Eppure in questo difficile momento sono quelle più colpite, perché dimenticate dalle norme del governo e dai sussidi previsti. Tuttavia noi crediamo che la ricerca artistica non possa essere lasciata indietro, ma debba andare di pari passo con i progressi culturali e sociali di un paese civile.
Siamo arrivati al punto di dover scrivere alle istituzioni, al mondo dell’arte pubblico e privato, per porre l’attenzione sugli effetti che l’attuale pandemia avrà sulle realtà artistiche come la nostra. È evidente che chi non è colpito direttamente non si rende conto del momento di estrema difficoltà che stiamo attraversando.
Inoltre, per chi come noi si trova a pagare l’affitto a un privato (la sede di Numero Cromatico si trova all’interno del Pastificio Cerere a Roma), il rifiuto di una riduzione delle condizioni contrattuali non è in alcun modo contrastabile.
Gli sforzi fatti in questi anni per tenere in piedi un’organizzazione e uno spazio pubblico sono stati tanti e altrettante sono state le soddisfazioni. Proprio quest’anno siamo stati nominati vincitori come miglior spazio indipendente in Italia ad ArtVerona. Ma l’orizzonte che forzatamente sta emergendo davanti ai nostri occhi è quello della chiusura, senza alcuna possibilità di ripresa a breve termine.
Per questo motivo ci siamo appellati a tutti quelli che in questi anni hanno avuto modo di conoscerci, lanciando una campagna di fundraising per sostenere le spese di gestione fino al mese di novembre.
Questa lettera ha l’obiettivo di far emergere il problema sollecitando le istituzioni ad intraprendere politiche culturali che possano sostenere la ricerca artistica nel lungo termine, in maniera stabile e strutturata, e nell’immediato erogare finanziamenti di copertura in risposta alla crisi scaturita dalla pandemia.
L’orizzonte che abbiamo davanti è tempestoso e le acque in cui navighiamo sono torbide, è necessario invertire presto la rotta per evitare che la nave affondi in condizioni avverse.
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