Nel corso dell’inaugurazione della sua mostra alla Neue Nationalgalerie di Berlino, Nan Goldin si è pronunciata contro la guerra a Gaza e a favore dell’immediato ritiro delle truppe di Israele, scatenando una controversia che ha coinvolto le istituzioni culturali e politiche tedesche. Durante la serata di apertura dell’esposizione, una retrospettiva itinerante incentrata sulle sue fotografie e sui suoi film – presentata dal Moderna Museet di Stoccolma e, da ottobre 2025, visitabile anche al Pirelli HangarBicocca di Milano – l’artista, da sempre riconosciuta per il suo attivismo, ha preso la parola con un discorso appassionato, preceduto da un minuto di silenzio per commemorare le vittime in Palestina, Israele e Libano. «Vi sentivate a disagio? Spero di sì», ha detto Goldin al termine del discorso, durante il quale ha enumerato le vittime causate dagli attacchi dell’esercito israeliano, puntando l’attenzione sulle sofferenze civili e denunciando ciò che ha definito «Un genocidio» in atto a Gaza.
Goldin ha anche criticato aspramente la Germania, accusandola di censurare le voci pro-palestinesi e di strumentalizzare l’antisemitismo per mettere a tacere ogni critica a Israele. Il riferimento implicito è diretto, oltre che alla contestatissima ultima edizione di Documenta a Kassel, anche al simposio organizzato dalla stessa Neue Nationalgalerie in concomitanza con la mostra. L’artista si era dissociata dall’evento, accusando il museo di averlo pianificato senza il suo consenso per distanziarsi dalla sua posizione politica. In segno di protesta, diversi relatori, tra cui Hito Steyerl, Candice Breitz ed Eyal Weizman, hanno ritirato la loro partecipazione.
La mostra di Goldin, inoltre, arriva in un momento di accese polemiche in Germania riguardo al ruolo dell’arte e dell’attivismo. Una risoluzione recentemente approvata dal governo tedesco mira a tagliare i finanziamenti pubblici a organizzazioni e progetti che sostengano il movimento BDS – Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni o che critichino il diritto di Israele a esistere. Anche Amnesty International ha denunciato la misura come una minaccia alla libertà di espressione e alla pluralità culturale. «La parola antisemitismo è stata trasformata in un’arma», ha affermato Goldin. «Dichiarando ogni critica contro Israele come antisemita, si rende più difficile definire e fermare l’odio violento contro gli ebrei. Nel frattempo, l’islamofobia viene ignorata».
Le parole di Goldin, condivise rapidamente sui social media, hanno ricevuto il supporto di artisti come Ai Weiwei e Wolfgang Tillmans, ma hanno suscitato reazioni contrastanti da parte delle istituzioni tedesche. Klaus Biesenbach, direttore della Neue Nationalgalerie, ha risposto durante l’evento, affermando il suo disaccordo con l’artista e ribadendo il diritto di Israele a esistere, pur esprimendo solidarietà alla popolazione civile colpita a Gaza e in Libano.
Cresciuta in una famiglia ebrea, Goldin ha sottolineato come la sua esperienza personale influisca sulla sua visione del conflitto in Medio Oriente: «Mai più significa mai più per nessuno», ha dichiarato, paragonando la situazione a Gaza ai pogrom vissuti dalla sua famiglia in Russia. Tuttavia, le sue dichiarazioni hanno attirato critiche dai vertici culturali tedeschi. Hermann Parzinger, direttore della Fondazione del patrimonio culturale prussiano – organizzazione che, tra l’altro, gestisce i Musei statali di Berlino – ha definito i suoi commenti «Insopportabili e unilateralmente pericolosi». Anche Joe Chialo, ministro della Cultura di Berlino, ha espresso disappunto, sottolineando come il discorso di Goldin «Dimentichi la storia» della città simbolo della Shoah.
Goldin però è abituata a contrapporsi ai poteri di vario genere, come nel caso della sua annosa lotta contro la potente casa farmaceutica Purdue Pharma e la filantropia tossica, e ha ribadito il suo impegno a utilizzare l’arte come strumento di lotta politica. «Ho deciso di usare questa mostra come piattaforma per amplificare la mia posizione di indignazione morale», ha detto l’artista, sperando di aprire la strada affinché altri artisti possano esprimersi senza timore di censure.
Mentre il pubblico della Neue Nationalgalerie ascoltava le parole appassionate dell’artista, le bandiere palestinesi e i cori pro-Palestina hanno dipinto un quadro di una Germania in bilico tra la memoria dell’Olocausto e il confronto con le tensioni geopolitiche contemporanee. Nan Goldin ha trasformato la sua mostra, intitolata This Will Not End Well e curata da Fredrik Liew, in un evento che potrebbe diventare uno dei simboli del dibattito sulla libertà d’espressione e sul ruolo dell’arte in tempi di conflitti globali. La domanda che emerge è quanto lo spazio culturale europeo e istituzionale – ma non solo – sia pronto ad accogliere posizioni divergenti.
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