-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Tutte le angurie dell’arte, del cinema, della musica. Storia di un frutto ambiguo simbolo di resistenza politica
Attualità
Di colpo è arrivata l’estate, la stagione del sole, del mare e delle angurie. L’anguria, conosciuta anche come cocomero in alcune regioni, è senza dubbio uno dei simboli più iconici che identificano l’arrivo “della bella stagione”. Bella, tonda, con una succosa polpa rossa, l’anguria sembra aver conquistato l’arte, la cultura, i social e persino certe località italiane, che la celebrano con feste e sagre dedicate.
Quando penso all’anguria immediatamente il pensiero va ai campi estivi, ai giochi di gruppo e alla hit musicale di ogni campo estivo che si rispetta: un cocomero tondo tondo. Dall’aspetto rotondo, dalle dimensioni ragguardevoli, questo frutto è simbolo delle Good Vibes estive, della fertilità, dell’abbondanza e della vitalità, caratteristiche che lo hanno collegato in quasi tutti gli ambiti della cultura e del panorama sociale.
Dal suo aspetto allusivo e prosperoso, eccolo spuntare in una delle scene più indimenticabili del film Dirty Dancing, che con la frase «I Carried a Watermelon» cede al frutto il potere simbolico della scoperta della femminilità. Nel 2019 Harry Styles intitola uno dei suoi singoli più famosi Watermelon Sugar, che rivela immediatamente la figura allusiva e ambigua del frutto. Esso diventa un inno alla vita, alla gioia del sesso e alla dolcezza dell’amore.
Il frutto entra anche nei dipinti, ecco allora l’anguria di Frida Kahlo che, nell’opera Viva la Vida, lega la vita con il succoso frutto. Nel dipinto, che è diventato quasi un ultimo saluto dell’artista, in quanto realizzato nel medesimo anno della sua scomparsa, il frutto raffigura il desiderio della lotta, una lotta per la vita, una lotta che va oltre la vita.
Il frutto, dalla pelle verde e dal cuore rosso, diventa anche un’icona del pop con le opere di Wayne Thiebaud, in cui le fette di anguria diventano protagoniste vibranti. L’anguria appare anche in opere di Salvador Dalì, di Giorgio de Chirico e in Giacomo Balla con un’anguria futurista. Per non parlare di tutta una serie di artisti che hanno posizionato il frutto come protagonista, o come elemento di un coro, in innumerevoli nature morte, cesti ricolmi e sagome fruttuose.
Tuttavia ogni cosa cambia e anche il frutto muta, le sue simbologie si mischiano e l’iconico frutto diventa altro. Nell’ultimo anno sempre più l’emoji dell’anguria si è diffusa e il frutto da simbolo estivo e di fertilità è mutato in un elemento politico, di disobbedienza e di desiderio identitario. Esso ha acquisito lo status di elemento grafico per indicare il sostegno all’indipendenza e alla causa palestinese, trasformandosi in frutto di resistenza e di sussistenza. Da uno sguardo grafico, l’associazione del frutto alla bandiera palestinese sembra abbastanza ovvia; i colori palestinesi si sovrappongono a quelli del frutto e ne trasformano il senso, tramutandolo in inno di protesta e di appartenenza. Se tuttavia si ha l’impressione che tale associazione sia recente, in realtà la bandiera-anguria ha origini più antiche, da quando nel 1967, con la guerra dei sei giorni, Israele iniziò l’invasione e la colonizzazione dei territori della Striscia di Gaza e della Cisgiordania.
Da quel momento, il frutto è entrato sempre più nelle manifestazioni politiche, fino ad approdare anche nell’arte con questo nuovo significato. Ne sono esempi recentissimi le opere di Teresa Antignani e di Frieda Toranzo Jaeger. Teresa Antignani, in occasione della biennale di Malta, presenta l’opera Deposizione, in cui l’anguria appare spezzata, mostrando la sua rossa polpa sotto i piedi di un Cristo morto, posizionato e disposto in un paesaggio contemporaneo, conflittuale e inquinato. Segue l’anguria per la Palestina che appare a Venezia, in Biennale, con l’artista Frieda Toranzo Jaeger nell’opera Rage Is a Machine in Times of Senselessness. Il frutto si mostra lì, in alto, in posizione centrale, sotto forma di una bandiera che resiste in un paesaggio post-umano. La bandiera-anguria, ispirandosi fortemente all’opera di Frida Kahlo, diventa un inno alla vita e all’appartenenza ad uno Stato libero, che persiste e che esiste lottando per la sua libertà.
Il frutto cambia, i simboli mutano, ma le essenze persistono. Ecco come l’anguria, frutto estivo, è diventata un’icona ambigua, segno di fertilità, di abbondanza, di passione, di femminilità, ma anche simbolo di lotta, di resistenza, di appartenenza e di sussistenza politica.
Le angurie più sensuali le ha dipinte Mattia Moreni .Saluti