È stato uno dei luoghi più iconici della cultura a Napoli tra Ottocento e Novecento, architettura manifesto della Belle Époque, ai suoi tavolini sedevano artisti, filosofi e letterati, da Gabriele D’Annunzio a Filippo Tommaso Marinetti, da Benedetto Croce a Matilde Serao, Eduardo Scarpetta, Totò, i De Filippo, Ernest Hemingway, Oscar Wilde e Jean Paul Sartre. Certo, oggi non è più proprio la stessa cosa, agli artisti si sono sostituiti i turisti ma, in ogni caso, a prescindere dagli avventori (e non è detto che un turista non possa essere anche un artista), che il Gran Caffè Gambrinus di Napoli chiuda i battenti è una notizia che intristisce tutti. E che lascia interdetti, considerando il massiccio consumo della bevanda scura che si fa nella città partenopea. Di fatto, il Caffè Gambrinus, che fa parte dell’Associazione Culturale Locali Storici d’Italia, chiude già da domani, 6 novembre, aspettando tempi migliori ma la decisione non è stata presa solo per gli effetti del Covid-19.
La Campania è infatti stata considerata zona gialla dall’ultimo DPCM quindi i bar e le attività di ristorazione possono rimanere aperti fino alle 18. Considerando poi i tavolini all’aperto, nello splendido scorcio compreso tra piazza Trieste e Trento e piazza Plebiscito, il lavoro non dovrebbe mancare anche con tutte le limitazioni previste. Eppure, «Sono allo stremo delle mie possibilità», ha dichiarato al Fatto Quotidiano Antonio Sergio, tra i titolari del Gambrinus. «Non ce la facciamo. Abbiamo deciso di chiudere indipendentemente da misure nazionali e regionali. L’auspicio è quello di riaprire il prima possibile, quando si potrà tornare a lavorare ai ritmi di sempre», continua Sergio.
E così, per la prima volta da esattamente 160 anni, cioè dal 1860, quando Vincenzo Apuzzo ebbe l’idea di aprire il bar, ottenendo immediatamente un enorme successo, il Gambrinus smette di preparare caffè, ovviamente non contando il periodo di chiusura forzata dovuto al lockdown dei mesi scorsi. A parte il colpo alla storia della città, il problema è anche imprenditoriale, perché il Gambrinus è una società che impiega 15 dipendenti, che vanno in cassa integrazione, e altre 30 persone, che probabilmente rimarranno senza lavoro.
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Da napoletano in età non più tanto giovanile, avvertire una sorta di malinconico dispiacere non deve meravigliare: se ne vanno via un pezzo di storia, un'epoca e un pezzo di cuore, in uno un pezzo di vita.