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Vandalismo o grido di allarme? A Londra, carcere per due attivisti climatici
Attualità
Tre settimane di carcere e sei settimane di coprifuoco con monitoraggio elettronico: questa la sentenza emanata in un tribunale del Regno Unito nei confronti di due attivisti climatici del gruppo ambientalista Just Stop Oil – Louis McKechnie e Emily Brocklebank – dopo aver causato un danno di 2mila sterline alla cornice del XVIII secolo di un dipinto di Vincent Van Gogh alla Courtauld Gallery di Londra. L’argomentazione che li avrebbe spinti a incollarsi, lo scorso giugno, alla cornice della tela Peschi in Fiore, realizzata nel 1889 dall’artista olandese, sarebbe che «Ogni buon essere umano sarebbe d’accordo nel cercare di sostenere la vita sulla Terra», provocando tuttavia, secondo le parole del giudice, «Un danno criminale permanente senza una scusa legittima».
Anche nei Paesi Bassi, altri ambientalisti sono stati puniti con la reclusione, accusati di violenza pubblica contro la proprietà, dopo aver preso di mira la Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer esposta al Mauritshuis Museum all’Aja. Un attivista ha cercato di incollarsi al dipinto mentre un secondo gli rovesciava addosso una scatola di passata di pomodoro.
L’esito dei processi sembra suggerire l’inizio di ripercussioni legali più severe a seguito delle numerose proteste per il clima, che hanno individuato nei musei lo scenario perfetto per attirare l’attenzione e aprire un reale dibattito su un argomento tanto urgente quanto poco affrontato concretamente: la crisi climatica e i suoi tragici risvolti, già visibili.
Complessivamente, l’opinione dei direttori e dei professionisti dei musei sembra essere una sola. Pur sostenendo la causa, l’ICOM richiede di interrompere questo tipo di gesti, ritenuti particolarmente rischiosi in vista di future possibili emulazioni caratterizzate da minore consapevolezza degli effetti sulla conservazione di beni culturali. Anche il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano si è pronuncia duramente a riguardo, affermando che «Attaccare l’arte è un atto ignobile, che va fermamente condannato», ricordando che i reati contro i beni culturali sono puniti gravemente e gli autori perseguibili penalmente. A Londra, il deputato conservatore Gareth Johnson avrebbe comunque suggerito alla Camera dei Comuni del Regno Unito di considerare Just Stop Oil come una organizzazione criminale.
Ma quali sono i danni realmente causati, sino a oggi, a seguito di questi episodi di protesta? Le Collezioni Statali d’Arte di Dresda hanno cercato di ottenere che due manifestanti venissero multati dopo aver incollato le mani alla cornice della Madonna Sistina del Raffaello, causando una perdita di entrate di 7mila euro dovuta alla chiusura temporanea del museo e costi di restauro pari a 5mila euro. Al contrario, il Mauritshuis Museum all’Aja, coinvolto nel caso Vermeer, ha dichiarato che il quadro non è stato danneggiato. Anche a Palazzo Bonaparte di Roma, dove gli attivisti di Ultima Generazione hanno imbrattato con della zuppa di verdura il vetro de Il Seminatore di Van Gogh, è stata confermata l’assenza di danni dalla perizia resa nota dalla società Arthemisia, produttrice e organizzatrice della mostra.
Nonostante l’indignazione della politica e la crescente preoccupazione delle istituzioni, anche giustificata, nei confronti di questi atti, l’obiettivo sembra essere uno solo, come più volte è stato dichiarato e affermato dai diversi gruppi di attivisti. «Il nostro non è vandalismo, ma il grido di allarme di cittadini disperati che non si rassegnano ad andare incontro alla distruzione del Pianeta e, con esso, della propria vita».
Fermo restando che queste azioni, anche protraendosi nel tempo, non sfocino mai nella violenza o in danni effettivi arrecati alle opere, è necessario forse fare una considerazione su cosa realmente sia più legittimo. Utilizzare il patrimonio culturale universale come strumento volto a generare un dibattito, riconoscendo nell’arte stessa un propulsore dal potere generativo, o sottrarsi a una risposta concreta, nascondendosi proprio dietro a quello stesso patrimonio che diviene ora il pretesto per trasformare una voce scomoda in “criminalità”?