* Nota per il lettore. La direzione e la redazione di exibart sceglie di pubblicare questa intervista nel nome del pluralismo di visioni che contraddistingue la nostra testata, ma si discosta totalmente da alcune visioni e affermazioni in essa contenute
Mentre in Italia la corsa del Covid-19 rallenta, e si comincia a parlare della fase 2 tra timori e pressioni, si pensa al mondo che verrà. Ma partiamo dal passato, anche se nessuno poteva immaginare l’isolamento del pianeta per tutelare la vita e solo poi pensare all’economia, c’era chi da tempo ha ipotizzato le conseguenze disastrose di un attacco virale. Bill Gates lo ha fatto in un Ted Talk del 2015; lo scrittore americano Dean Koontz nel suo romanzo di fantascienza The Eyes of Darkness pubblicato negli anni ’80 in cui descriveva un virus che si era diffuso a Wuhan nel 2020. Se per Bill Gates si tratta di un’analisi razionale, a cui si aggiunge una visione a lungo termine, il caso di Koontz è un chiaro esempio del potere della fantasia che riesce ad anticipare la realtà, e in queste settimane abbiamo vissuto in un periodo in cui tutto è diventato possibile.
A parlare del ruolo della fantasia nella vita, nell’arte e nella rete, delle visioni di scrittori, artisti e imprenditori, è il sociologo ed esperto di cultura digitale, anche delfino di Marshall McLuhan, Derrick de Kerckhove, partendo proprio da questi due esempi: «Bill Gates è un uomo che non solo pensa al futuro, si occupa attivamente della salute nel mondo, un tema a cui dedica la sua enorme fortuna e il suo tempo. Koontz ha scritto il suo romanzo nel 1981, una delle sue numerose opere realizzate sempre alla ricerca di nuove tematiche. Il caso di Eyes of Darkness è particolare perché nello specifico tratta di un virus, molto simile al Covid-19, che esce da un laboratorio di Wuhan. Spunti casuali da parte di due personaggi, Gates, alle prese con la cura del mondo, e Koontz invece, con il romanzo scientifico. Rimane comunque interessante capire perché Koontz avesse puntato su Wuhan».
«Credo che sia ancora troppo presto per prevedere cosa succederà, perché non credo che abbiamo superato il trauma dell’isolamento. Certo si notano cambiamenti nei nostri comportamenti, come il cantare dal balcone, insegnare con la piattaforma Zoom, stilizzare le mascherine ecc. Però solo se la crisi continuerà per mesi, cosa prevedibile, solo allora sarà inevitabile un cambiamento più profondo».
«La comunicazione è già cambiata da anni. I ragazzi non vanno più in strada, i giornali vengono letti sugli schermi, l’opinione pubblica circola viralmente su Twitter, da tanto tempo l’oggettività del giornalismo si perde nella marea di fake news e ci si chiede se torneremo mai a un’informazione credibile. In Europa assistiamo a una divisione che nasce dall’interno dei Paesi con la chiusura nazionalista delle frontiere, e con il rifiuto dell’Eurobond da parte di paesi ricchi che non vogliono sostenere quelli meno fortunati in uno sforzo comune di ristrutturazione economica del dopo-coronavirus. L’Unione Europea è stato un bel sogno, il più bello del dopo-guerra, ma non resiste alla natura egocentrica, per non dire egoista, delle culture linguistiche. Per quello che riguarda il senso del tempo, sì, certo cambia anche quello. Niente di più radicale come il dover bloccare tutta la gente a casa. Il tempo, paradossalmente, si restringe al locale, lasciando perdere le opportunità di allungarsi negli spostamenti previsti, ma aumenta nella nuova pazienza a cui l’isolamento obbliga».
«Speriamo di sì, però tutto dipenderà ancora da quanto durerà l’isolamento. La vera sfida non è la pandemia, ma la protezione di un ambiente fortemente minacciato, dove la prima grande sorpresa dopo la riduzione del consumo, della circolazione e dell’economia, è stata quella di poter ritrovare il gusto dell’aria fresca e del cielo blu nelle grandi città del mondo. Ogni tanto penso che l’isolamento non sia stata la risposta la più intelligente e nemmeno efficace al Coronavirus, ma piuttosto alla corsa suicida che l’ordine economico mondiale impone a tutta l’umanità. Occorre fermarsi per riflettere bene se vogliamo continuare come prima, o chiedere finalmente allo Stato e alle multinazionali di avere un approccio adulto nel trattare l’economia. In questa situazione, io posso ammettere di sentirmi molto privilegiato. Non solo perché mi trovo a Vico Equense, sopra il mare con vista del Vesuvio nella penisola sorrentina, meno minacciata rispetto al Nord, ma anche perché posso finalmente consacrare il mio tempo a scrivere un libro a cui sto pensando da parecchio tempo, sulla cultura della fisica del quantum, che secondo me, rappresenta il prossimo salto tecnologico che è già in corso. Sono molto cosciente di questa fortuna e ogni volta che mi viene in mente, penso agli italiani e alle persone nel mondo più sfortunate di me che subiscono questa sorte gravemente ingiusta».
«Leggo, leggo, e leggo, penetrando nel fascino delle particelle, dell’indeterminazione della materia, pensando sempre più insistentemente a queste parole stupende di Giordano Bruno, che sento vicino non solo perché è nato a Nola, a 35 chilometri da Vico Equense, ma che sento quasi contemporaneo per il suo pensiero quantico: “Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia”. La fisica del quantum ci porta precisamente a questo limite estrema della realtà dove s’incontrano pensiero e materia. Di nuovo mi sento eccezionalmente fortunato in questo isolamento che mi obbliga a pensare invece che a correre».
«La rete precede e dirige la cosiddetta “Trasformazione digitale”, cosa che non si limita al commercio, né alle grandi imprese di produzione e distribuzione, ma riguarda ognuno di noi. Siamo trasformati intimamente dal digitale, nei modi di ricordare, di pensare, di giudicare, di scegliere. Ormai, l’idea di rete è superata da quella di connessione permanente, come quella delle nostre cellule con tutto nostro corpo. Siamo nel digitale come il pesce nell’acqua. Si perde un po’ di autonomia».
«La speranza di qualche rinascimento fa parte della nostalgia a periodi del passato, io non ci credo. Il rinascimento era quello dell’individuo Greco-Romano, rinato dall’effetto della stampa di Gutenberg. La moltiplicazione dei libri permetteva a più gente di interiorizzare conoscenza e pensiero, creando allo stesso tempo la coscienza privata, la libertà di coscienza, e la protezione civile della privacy ormai destinata a sparire interamente. Questo non impedisce la creatività nell’arte, ma non la favorisce neanche. La cosa che succederà sarà la riunione dei due sensi della parola tecne che dalla Grecia antica si sono separati fra tecnica e arte. Adesso tornano insieme nell’’Intelligenza Artificiale e l’invenzione di applicazioni, la nuova arte della rete».
«Non posso immaginare il nuovo mondo. Per ora è in sospeso come tutta la materia al livello quantico. Tutto dipende da una determinazione cosciente di una popolazione ancora inconsapevole del suo potere e del suo ruolo nella salute globale. Tornare al passato vuol dire tornare al “business as usual” di Trump, di Erdogan, di Johnson, di Bolsonaro e compagnia, vuol dire ai dinosauri non della mente ma del cuore. Vedere il futuro non è ripartire da zero, perché la scienza e la tecnica offrono poteri fenomenali di organizzazione, produzione e condivisione di prodotti e servizi che non inquinano, ma significa partire da un nuovo senso di responsabilità, come per esempio quello di Greta Thunberg. Ci dice che per pulire gli oceani ci vorranno più o meno 30 anni, ma si può fare. Tutto dipende dalla volontà e dalla responsabilità da parte di tutti noi».
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