Alla fine, la DHI – Dignitatis Humanae Institute dovrà fare le valigie: il Consiglio di Stato ha riconosciuto che l’associazione ultraconservatrice di ispirazione cattolica e legata ai movimenti della destra suprematista non aveva i requisiti necessari per la partecipazione al bando di affidamento della Certosa di Trisulti, nel Comune di Collepardo, in provincia di Frosinone. Obiettivo dell’Istituto era aprire, nello spazio monumentale, costruito nel 1204 e situato tra i boschi di querce della Selva d’Ecio, una scuola politica dedicata alla formazione di giovani adepti all’ideologia suprematista, «per difendere le radici cristiano giudaiche dell’Occidente». Contro l’affidamento si erano già mosse diverse associazioni del territorio ma la notizia fu portata all’attenzione dell’opinione pubblica grazie a un’inchiesta di Report. E anche il MIC – Ministero della Cultura, allora MIBACT, nel maggio 2019, aveva avviato un procedimento di annullamento in autotutela dell’esito del bando, pubblicato nel 2016 dallo stesso Ministero, sotto la cui giurisdizione, attraverso il Polo Museale del Lazio, ricade il bene.
Secondo il Consiglio di Stato, la DHI ha prodotto una serie di dichiarazioni mendaci, tra documenti retrodatati e ragioni sociali alterate, per soddisfare i requisiti per la partecipazione. L’Istituto non aveva ancora il riconoscimento della personalità giuridica al momento della domanda, nel suo statuto non erano definite le finalità legate all’attività di tutela, promozione e valorizzazione di beni culturali e paesaggistici e, infine, non poteva dimostrare l’esperienza quinquennale nella collaborazione per la tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Negli atti prodotti per il bando, era stata dichiarata anche la gestione del cosiddetto Piccolo museo monastico di Civita che, purtroppo per i suprematisti, esiste solo sulla carta. Insomma, era tutto un grande bluff, montato con poca arte.
E dire che il Tar di Latina aveva precedentemente stabilito che, nonostante alcune “anomalie”, la Certosa di Trisulti avrebbe potuto rimanere in gestione alla DHI. Il Tribunale di primo grado aveva ritenuto che l’annullamento non poteva essere disposto oltre il termine di 18 mesi ma il Consiglio di Stato ha ritenuto che tale limite vada rispettato solo se «Il comportamento della parte interessata, nel corso del procedimento o successivamente all’adozione dell’atto, non abbia indotto in errore l’amministrazione distorcendo la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della realtà o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge e se grazie a tale comportamento l’amministrazione si sia erroneamente determinata a rilasciare il provvedimento favorevole».
Fondata da Benjamin Winston Harnwell, braccio destro di Steve Bannon, nel corso della sua non troppo limpida storia la DHI ha potuto contare su appoggi di rilievo: dal 2010 al 2019, il Cardinale Renato Raffaele Martino, conosciuto anche per le sue accese posizioni antiabortiste, ha ricoperto la carica di Presidente Onorario. Tra gli amici, anche Matteo Salvini. Ma tutto ciò non è servito.
«Siamo contenti. Giustizia è fatta», commenta l’avvocato Felice Maria Spirito. «Avevamo tutti contro, la verità era difficile da trovare, e soprattutto c’era un comportamento di grande ambiguità da parte di molti personaggi. Senza menzionare la totale assenza dei politici locali. E invece, tanta gente ha risposto, associazioni locali e semplici cittadini. Noi avvocati abbiamo dato il nostro modesto contributo. Oggi la contentezza è tanta». Ma altissimo è stato anche il rischio: paradossale poter anche solo pensare di affidare a un’organizzazione con evidenti finalità politiche estremiste una struttura del genere, patrimonio della storia e della cultura di tutti.
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