-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Una foto potrebbe incastrare Sgarbi per il furto di un’antica opera di Manetti
Attualità
di redazione
Furto organizzato ad arte e pianificato nei minimi dettagli oppure ritrovamento dovuto a un inatteso intervento della fortuna? Anzi, un «Colpo di culo», nei consueti termini coloriti usati da Vittorio Sgarbi. Il Sottosegretario alla cultura, nei giorni scorsi, è finito al centro di una inchiesta pubblicata dal Fatto Quotidiano e da Report e portata avanti da Thomas Mackinson, nella quale si sostiene che un’opera di Rutilio Manetti, pittore senese attivo tra il ‘500 e il ‘600, esposta dallo stesso Sgarbi in una mostra alla Cavallerizza di Lucca del 2021, sia in realtà la stessa che risulta trafugata al Castello di Buriasco, in provincia di Torino, nel 2013. Secondo Sgarbi, il dipinto, che rappresenta la cattura di San Pietro – un caso di nomen omen? – sarebbe invece un inedito di sua proprietà, ritrovato casualmente nella sua villa di Viterbo: «Sono diversi, nel mio c’è una candela, l’altro è solo una copia».
Il percorso dell’inchiesta
L’inchiesta è partita da uno stabilimento piccolo ma con un attrezzatissimo laboratorio, gestito dai fratelli Samuele e Cristian De Pietri, situato nella zona industriale di Correggio, Reggio Emilia, in grado di «Sfornare una sorprendente riproduzione su tela della Cattura di San Pietro», si legge nell’articolo. Nello stabilimento, grazie all’utilizzo di macchinari all’avanguardia, si riescono a realizzare riproduzioni perfette di opere d’arte, direttamente su tela. «Una è stata fatta proprio per Vittorio Sgarbi, che utilizzò lo stabilimento come la sua personale “fabbrica dei cloni”», continua l’articolo. «Abbiamo fatto copie digitali anche di altre opere, finché abbiamo percepito che con lui si andava in una direzione della riproduzione che non ci piaceva, per questo abbiamo chiuso i rapporti», spiega al Fatto Samuele De Pietri.
«Vittorio Sgarbi era di gran lunga il loro cliente più importante. I fratelli esibiscono 20mila euro di fatture pagate da lui. Le ultime a dicembre 2023, da sottosegretario ai Beni culturali», prosegue Mackinson, citando foto, video e fatture a testimoniare la frequentazione del laboratorio da parte del noto critico d’arte. «Si vede Sgarbi che vagola tra le due versioni dell’opera, l’originale e la copia, posizionate una di fronte all’altra»: entrambe sarebbero state inviate a Ro Ferrarese, nella sede della Fondazione Cavallini Sgarbi. In azienda rimane però il file della scansione 3D con risoluzione a 1600 Dpi, dal peso di 52 gigabyte.
A questo punto, Mackinson cita anche il restauratore Gianfranco Mingardi che, l’8 maggio 2013, tre mesi dopo la denuncia di furto dal Castello di Buriasco, ricevette il dipinto al casello di Brescia. «A consegnarlo è Paolo Bocedi, l’ex autista e amico di Sgarbi che nella denuncia della proprietaria viene indicato come potenziale acquirente, al quale però si rifiuta di venderlo. Mingardi conferma ai carabinieri di averlo ricevuto “senza telaio, tagliato e arrotolato come un tappeto”».
La comparazione tra immagini e il frammento galeotto
La comparazione tra l’immagine ad altissima risoluzione conservata nello stabilimento di Correggio, quella ricavata dalla mostra di Lucca e una terza corrispondente allo stato dell’opera ricevuta da Mingardi, sembrerebbe confermare che il dipinto di Manetti sia uno, ritoccato per non somigliare troppo a quello trafugato al Castello di Buriasco.
«La prova regina è però il frammento, il brandello di tela che i cronisti hanno rinvenuto a Buriasco, incastrato tra la foto sostitutiva in plastica e la cornice lasciati sul “luogo del delitto”», conclude l’articolo. «Quel reperto può collegare direttamente la copia di Sgarbi al quadro trafugato. Il lembo di tela, di forma triangolare bianco e nero, sembra provenire da un’area in basso a destra, una delle tre punte dell’alabarda posata a terra. L’immagine in alta risoluzione del reperto gira sul monitor cercando l’incastro sia nelle foto di Mingardi che in quella esposta a Lucca. Gira gira gira finché… “zac”, si incastra a pennello in un’area dove un rattoppo copre un vistoso buco. Le lacerazioni si saldano, il vuoto corrisponde perfettamente al frammento».
Secondo Sgarbi, invece, l’opera sarebbe inedita. Nella scheda pubblicata nel catalogo della mostra di Lucca, firmata dallo stesso Sgarbi e dallo storico dell’arte Marco Ciampolini, si legge che l’opera «Stava nella villa Maidalchina, di Olimpia Pamphilij, nata Maidalchini, in prossimità de La Quiete, in contrada La Pila, vicino a Viterbo, ora proprietà della Fondazione Cavallini Sgarbi», dove fu ritrovata dall’attuale Sottosegretario, per un colpo di fortuna, appunto.