In “Corpo d’amore” (Sperling & Kupfer, 2001), la poetessa dei Navigli Alda Merini così definiva la bellezza: «Non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori». Al centro del nuovo bando promosso da Fondazione CARIPLO, “La bellezza ritrovata”, c’è proprio questa qualità della bellezza, ossia la possibilità di disvelare la luce, liberata dal velo della bruttezza, quella “tenebra caduta”, sedimentatasi nel tempo ad esempio su una parte della nostra città.
Il bando, che scade il 28 aprile e ha per destinatari Enti pubblici o privati non profit, è dotato di un budget complessivo di € 1.220.000 orientato al «Ripristino dell’integrità e della bellezza di determinati contesti paesaggistici, urbani ed extraurbani, deteriorati da manufatti incoerenti, particolarmente invasivi e/o in stato di degrado». È di grande rilievo e fa ben sperare il fatto che la più importante Fondazione di origine bancaria d’Italia, nel sostenere gli «Interventi di mitigazione o di eliminazione di porzioni di immobili o di eventuali superfetazioni incoerenti», preveda che essi siano «Individuati anche grazie a processi di ascolto e partecipazione attiva delle comunità di riferimento».
Anche in occasione della recente presentazione in digitale, partecipata dal Presidente Giovanni Fosti con Lorenza Gazzerro e Francesca Cogliati (Programme Officer – Area Arte e Cultura), i messaggi si sono concentrati sulla centralità della partecipazione della comunità negli interventi volti a innescare «Processi di rigenerazione a base culturale»: non basta la mera rimozione del degrado con azioni decorative, ma serve la volontà della comunità iper-locale di prendersi cura della bellezza del luogo in cui vive e a cui sente di appartenere. Riguardo al processo di attivazione, il bando richiede la partecipazione delle comunità di riferimento nella scelta degli spazi da trasformare, sia al fine di individuare le brutture, che per co-progettare i possibili “rimedi”.
A conti fatti, l’architettura di questo programma si traduce in una tessitura di almeno 31 processi di costruzione di comunità a base culturale localizzate in Lombardia e nelle province di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola. La richiesta massima di contributo è di 40 mila Euro per non oltre l’80% dei costi totali preventivati. La durata di ogni iniziativa che verrà finanziata sarà compresa tra 6 e 24 mesi, il tempo di attecchire e proseguire autonomamente. Questo bando non è il primo del genere in Italia, si inserisce infatti nel solco del Bando DISTRUZIONE di FONDAZIONE CRC, giunto alla IV edizione, con il duplice obiettivo di distruggere le brutture per ripristinare la bellezza del contesto paesaggistico – ambientale e, al tempo stesso, coinvolgere le comunità nella “presa in carico” del luogo, attraverso processi di partecipazione attiva e progetti di arte pubblica.
Decine di progetti ne hanno beneficiato fin qui. Prendendo in rassegna i percorsi attivati soltanto nell’ultima edizione emergono tante buone pratiche replicabili: piazze riqualificate, ex caserme o conventi restituiti alle comunità, nuovi punti panoramici, giardini musicali e centri di aggregazione per famiglie e bambini, ecc. Ogni elemento del bando CARIPLO va in questa direzione: l’esclusione degli interventi di carattere pubblicitario o commerciale come l’orientamento alla rinaturalizzazione del luogo.
Le candidature dovranno prevedere azioni in contesti deturpati capaci di determinare un impatto positivo sul paesaggio circostante e suggerire nuove prospettive di valorizzazione e fruizione. Riguardo alla proprietà di aree, manufatti o immobili, per le azioni di eliminazione, la proprietà dovrà essere di enti pubblici. In caso di progetti che prevedano invece azioni di mitigazione, gli edifici o le aree oggetto d’intervento potranno essere di proprietà di enti pubblici, ecclesiastico-religiosi e organizzazioni private non profit.
Gli interventi non solo dovranno riguardare «Aree o luoghi di comprovata simbolicità per le comunità di riferimento», ma dovranno anche essere tesi alla promozione della costruzione di reti locali (coinvolgendo soggetti del Terzo Settore in qualità di partner e attraverso «La selezione, da parte della curatela artistica o scientifica incaricata, di giovani artisti e professionisti emergenti», e rispettare il vincolo di sostenibilità (per cui viene premiata «La definizione di accorgimenti utili alla mitigazione degli impatti ambientali e climatici del progetto, attuando soluzioni gestionali in coerenza con la normativa inerente i Criteri Ambientali Minimi per gli acquisti»).
Interessante notare come criteri simili, che per costruzione vanno a spostare il baricentro della selezione verso iniziative con un forte accento di partecipazione culturale, siano perfettamente in linea con le pratiche abbracciate e promosse dal programma New European Bauhaus: Beautiful, Sustainable, Together.
Più in generale, sta crescendo l’importanza dell’attenzione all’impatto come si evince dagli indirizzi di programmazione comunitaria per il settennato in corso che guarda al 2027, e questo vale sia per quanto riguarda il finanziamento ai settori creativi e culturali (CREATIVE Europe) che per quanto riguarda la ricerca di base e applicata per la costruzione del mercato comune (HORIZON Europe).
In questa cornice, il bando “La bellezza ritrovata” agisce nella convinzione che la rimozione del brutto e la possibilità di ripristinare il bello siano condizioni che forse non bastano, ma certamente aiutano a ricostruire o consolidare l’appartenenza iper-locale. Attraverso questi incoraggiamenti, si invitano gli abitanti a prendere parte alla trasformazione di un’area dismessa o di una porzione di città. Non vogliono essere azioni di restauro, l’importo degli interventi è limitato; si tratta bensì di processi di ascolto e consapevolezza che, a partire dall’adozione/elezione di un luogo significativo per la comunità, mettono in moto piccole trasformazioni partecipate, con l’auspicio che la cura condivisa e il protagonismo delle persone di buona volontà proseguano oltre la fine dei percorsi finanziati.
Ciò che emerge è la tensione verso un equilibrio fra la bellezza da ritrovare e l’attenzione alla qualità delle relazioni che i soggetti proponenti saranno in grado di facilitare. In altri termini, la cultura che cura passa attraverso la partecipazione e la quotidianità delle pratiche di “inciampo estetico”. Perché percepire la bellezza del posto in cui si vive o quanto meno unire le forze per migliorarlo quanto possibile è un determinante di salute e inclusione che rende possibili percorsi di emancipazione personali e collettivi, un cantiere aperto di futuri (nuovamente) possibili.
Questa tendenza si inserisce in un fenomeno più ampio, su scala internazionale: la convergenza tra ambiente, cultura e salute. Il binomio cultura – salute è riconosciuto in Canada, dove la visita museale può essere prescritta dal medico, e non meno nel nostro Paese, dove la crescente sensibilità sul welfare culturale ha già portato all’attivazione di percorsi di alta formazione avviati negli ultimi mesi.
In parallelo, è di poche settimane fa l’inserimento della protezione ambientale nel novero delle leggi di rango costituzionale, importante passo avanti per scardinare l’equivoco della tradizionale alternativa tra salute e lavoro che tanti disastri, anche di Stato, ha provocato in passato, con pesanti strascichi sulla salute pubblica. Anche la ripresa post-pandemica dei sistemi turistici in tutto il mondo ha bisogno della partecipazione culturale, elemento decisivo per ricucire comunità ospitanti lacerate e per ricostruire relazioni interrotte coi pubblici – target desiderosi di ricominciare a viaggiare. Al centro, la cura e valorizzazione del patrimonio culturale.
Dopo 30 anni in cui abbiamo osservato in parallelo una lacerazione profondissima tra politica, innovazione e società e la tendenza a “investire nel mattone”, spesso attraverso iniziative finanziate dalle politiche europee di coesione, oggi si va affermando la necessità di riempire di contenuto i contenitori. I processi di rigenerazione urbana avviati ad esempio grazie alle esperienze di Riabitare l’Italia e Riusiamo l’Italia testimoniano la centralità degli intangibili.
Se l’essenziale è invisibile agli occhi, in cosa consiste? L’essenziale è proprio l’attivazione e l’inclusione della comunità in processi di partecipazione, il pilastro intorno al quale progettare un’operazione di sviluppo. Non solo, come suggeriscono Calderini e Venturi, “una progettazione integrata di infrastrutture sociali e comunitarie, digitali e fisiche, assistita da strumenti di finanza ad impatto sociale, può trasformare le comunità e le reti sociali in produttori di impatto sociale positivo e che solo la generazione e la capitalizzazione di tale impatto possa garantire, nel medio lungo periodo, la tenuta del valore economico degli asset fisici e immobiliari realizzati nell’ambito di operazioni di rigenerazione urbana.”
In altri termini, lo sviluppo locale è in grado di rigenerarsi solo “intorno a una capacità di riconoscere la comunità come mezzo per prendersi cura di sé e come esito di economie che riconoscono la produzione come “fatto sociale”, economie ibride capaci di tenere insieme dono e mercato, partecipazione e imprenditorialità.” Un cantiere aperto per le tante Italie di oggi e di domani: nelle aree interne come nei quartieri delle metropoli o nelle città di provincia.
Senza politiche dei luoghi con questa impronta si sfibra l’appartenenza e si finisce per produrre selezione avversa anche nella dinamica di ricambio della classe dirigente. Partecipare, in questo senso, è una scelta di libertà che fa la differenza tra un corpo sociale inerme che procede per inerzia e uno orientato a reinventarsi. Aristotele ci insegna che “La vita è nel movimento”. Sta a noi scegliere.
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