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Innovazione e beni culturali: Fondazione San Paolo presenta Switch
Bandi e concorsi
Promuovere la cultura della pianificazione strategica, incoraggiare lo sviluppo e la diffusione delle competenze dell’innovazione negli enti culturali, favorire una maggiore contaminazione tra il mondo tecnologico e quello dei beni culturali. Sono solo alcuni degli obiettivi di Switch, bando promosso da Fondazione Compagnia di San Paolo, che richiede ai soggetti candidati la presentazione di un piano d’innovazione pluriennale del proprio ente. Qui potete trovare tutte le informazioni nel dettaglio mentre Matteo Bagnasco, responsabile Obiettivo Cultura, ci racconta di più.
L’Italia vive una situazione critica rispetto all’innovazione digitale, specialmente se posta a confronto con gli altri Stati dell’Unione Europea. Quali sono i fattori che frenano – o, perlomeno, rallentano enormemente – la crescita del fenomeno nel settore culturale? Crede che la rapida digitalizzazione di molte realtà durante questo periodo di emergenza permarrà anche oltre, o c’è il rischio che tutto torni come prima?
«Negli ultimi 10 anni, gran parte dei musei di tutto il mondo ha abbracciato il cambiamento in atto e ha iniziato a sviluppare progetti strategici e programmi di innovazione digitale. In Italia invece, secondo l’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali, che ha recentemente proposto un corposo report intitolato “L’innovazione digitale nei musei italiani nel 2019”, soltanto il 24% degli enti museali nel nostro paese ha predisposto un piano strategico formalizzato per l’investimento in digitale. Sebbene si riscontri un certo fermento tra gli addetti ai lavori del settore, sostenuto da una forte richiesta di “accompagnamento” nel comprendere le possibilità offerte dall’innovazione per orientare il processo di trasformazione delle istituzioni”, permangono tuttavia ritardi dovuti in primo luogo ad una non formazione del capitale umano – poco orientata all’innovazione e al management- ma anche carenze di risorse, in termini economici e e di competenze specifiche.
Il distanziamento sociale ha portato a un boom del digitale, sfruttato principalmente per proporre modalità alternative di fruizione e sicuramente molta buona comunicazione. Credo che questa sia solo una parte del potenziale del digitale ossia che pur non potendo sostituire l’interazione fisica con la cultura nelle sue diverse forme, può creare nuove modalità di esperienza e promozione irrobustendo l’offerta culturale. Tutto questo non sparirà perché si è dimostrato utile ed efficace.
A questo però dobbiamo accostare un altro potenziale del digitale, meno visibile agli occhi ma altrettanto importante: riguarda tutte le attività di backoffice e alla dimensione gestionale. Sempre riportando i dati dell’osservatorio il 32% non dispone di alcun sistema informatizzato di supporto alle attività amministrative e di back office, come la gestione degli acquisti o del personale. Per quanto riguarda la gestione dei servizi commerciali, il 45% ha un software per la biglietteria, il 30% per la gestione delle attività didattiche, il 21% per i servizi come bookshop e ristorazione e l’11% per la gestione e l’affitto degli spazi. Insomma, i margini per migliorare sono ampi».
Il Bando “SWITCH_Strategie e Strumenti per la Digital Transformation nella Cultura” si pone come obiettivo proprio quello di consolidare la cultura dell’innovazione nelle istituzioni culturali, per una trasformazione graduale dall’AS IS al TO BE, passando attraverso una gap analysis e una conseguente riprogrammazione. A chi si rivolge?
«Si tratta di una nuova azione dell’Obiettivo Cultura che rientra nella missione ATTRATTIVITÀ, orientata a valorizzare le identità culturali e creative di ogni territorio, per renderlo più fruibile e attrattivo. In questo modo la Fondazione intende contribuire al raggiungimento degli obiettivi si sviluppo sostenibile dell’Onu, in particolare l’obiettivo 9 dedicato all’adeguamento delle infrastrutture (in questo caso culturali) e al sostegno all’innovazione.
Nello specifico, il bando è rivolto agli enti culturali del Piemonte, della Liguria e della Valle d’Aosta, che gestiscono in maniera stabile e continuativa da almeno 5 anni, beni e/o attività culturali (musei, spazi espositivi, teatri, complessi monumentali, fortezze, ville, palazzi, spazi performativi…). Come spesso succede per i nostri bandi, ci piace immaginare che questa sia un’occasione per intraprendere con alcuni enti un percorso di crescita, di guida verso un ripensamento di se tessi in chiave digitale. Lo faremo con il contributo di competenze che il Gruppo della Compagnia di San Paolo può mettere a disposizione per tutte le fasi del bando ed in particolare, sul tema della digitalizzazione, con la collaborazione del nostro partner tecnologico Fondazione LINKS.
Lo studio di questa esperienza, la teorizzazione del percorso, la possibilità di portare dei case study a sostegno dell’opportunità di “pensare Digitale”, credo sarà un’eredità del bando, a vantaggio di tutti gli enti culturali del panorama nazionale».
In che modo un ente culturale può trarre vantaggio dalla digitalizzazione?
«Le istituzioni culturali si trovano nel mezzo di un processo profondo di cambiamento, stimolato dalla necessità di aprirsi sempre più all’esterno, utilizzando modi e linguaggi nuovi, fortemente influenzati dal digitale. La necessità di trasformazione costituisce una sfida ma anche un’opportunità per avvicinare nuovi pubblici, coltivare la relazione con quelli già esistenti e per valorizzare i beni materiali e immateriali che le istituzioni custodiscono e producono. Disporre di strumenti che possano migliorare e automatizzare la gestione dei contatti, ad esempio, dovrebbe divenire prioritario per tutte quelle istituzioni che stanno concentrando i propri obiettivi strategici sull’ampliamento dei pubblici e l’engagement e la fidelizzazione degli utenti già raggiunti.
Si tenga presente peraltro che esistono specificità proprie degli enti culturali, che costituiscono un potenziale inesploso, il quale, se opportunamente valorizzato attraverso il digitale, può conferire un vantaggio strategico significativo. Qui emerge di nuovo la dimensione gestionale. Si pensi per esempio al bacino eccezionale di dati raccolti dai musei o dai teatri, che quotidianamente registrano flussi di visitatori in presenza o virtuali: quei dati, se non utilizzati costituiscono una ricchezza perduta, ma se valorizzati con una gestione efficace della customer relation, la messa a sistema di strategie di marketing generando un circolo virtuoso. Gli enti culturali inoltre sono spessissimo ricchi di archivi e collezioni, normalmente non esposti per mancanza di spazio o per questioni di sicurezza e conservazione e che possono invece essere resi fruibili attraverso il digitale. Il digitale infine fornisce strumenti predittivi e di monitoraggio, che ci permettono di affrontare il “rischio di impresa” più serenamente, con qualche tutela in più».
“Strategia” e “sostenibilità” sono le parole chiave del bando. Qual è il Piano di Innovazione vincente?
«Obiettivo di SWITCH è premiare progetti che siano effettivamente in grado di autosostenersi una volta a regime; in questo senso si parla di sostenibilità. Vorrei sottolineare però che non esiste un’unica strategia digitale, che sia valida per tutte le organizzazioni: ciascun ente è chiamato a disegnare il proprio Piano di Innovazione tenendo conto delle specificità della propria organizzazione e delle attività che la contraddistinguono. Il Piano, per essere efficace dovrà dunque essere coerente con la mission dell’ente.
Ciò detto, esistono dei requisiti generali: un buon Piano di innovazione è innanzitutto un progetto in cui la trasformazione digitale favorisca la sostenibilità dell’Ente, abilitando una diminuzione dei costi e un aumento dei ricavi, ovvero generando nuovi flussi di entrate.
Deve inoltre essere un Piano che valorizzi i dati (data exploitation) a disposizione dell’Ente, innescando come detto sopra, un meccanismo virtuoso, che potrà essere per esempio: più dati, più utenti; più utenti più dati.
È infine un ottimo segnale se il Piano sarà in grado di generare ricadute positive in termini di indotto socioeconomico sul territorio, mettendo l’organizzazione nelle condizioni di tessere una rete con più soggetti diversi in un’ottica di open innovation, ovvero di ricerca di soluzioni condivise tra attori diversi.
Starà poi all’organizzazione stabilire propri KPI, per garantire un monitoraggio efficace degli obiettivi che si sarà posto: e anche questo, se fatto nella maniera giusta, è l’indice di un Piano di Innovazione che corre sulla strada giusta per il successo».