Fu Angelo Zanelli a decorare l’Altare della Patria con un imponente fregio scultoreo che vede la statua de La Dea Roma al centro, in un’edicola con il fondo di mosaico dorato, e due bassorilievi, entrambi concepiti come maestosi cortei, ai lati: l’uno, sul lato occidentale, raffigura L’Amor patrio che pugna e vince, l’altro, sul lato orientale, Il Lavoro che edifica e feconda.
Concepito come un grande altare laico dedicato alla Nazione e ai suoi valori, l’Altare della Patria è il cuore del Vittoriano, pensato all’indomani della morte di Vittorio Emanuele II, per celebrare il primo re d’Italia e, attraverso la sua persona, l’intero Risorgimento, ovvero il processo all’origine dell’unità e dell’indipendenza dell’Italia. Giuseppe Sacconi, architetto marchigiano e vincitore di un apposito concorso per la realizzazione bandito nel 1882, avviò i lavori nel 1885.
Zanelli vinse, eletto dal popolo, il concorso per la decorazione bandito nel 1908 e concluse il lavoro nel 1925. A distanza di 98 anni, VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia – ha avviato i lavori di restauro, diretti da Edith Gabrielli ed eseguiti da Susanna Sarmati, volendo garantire la conservazione materiale dell’Altare della Patria, arrestandone i fenomeni di degrado in atto e prevenendo i danni futuri attraverso un opportuno trattamento delle superfici.
Il restauro, che preserva il servizio della Guardia d’Onore alla Tomba del Milite Ignoto, è suddiviso in tre fasi: la prima, dal 28 marzo all’8 luglio 2023, interessa le porzioni laterali dell’Altare; la seconda, dal 9 luglio al 3 settembre 2023, la porzione centrale di destra compresa La Dea Roma; e la terza, dal 4 settembre al 24 ottobre 2023, la porzione centrale di sinistra. I lavori sono stati concepiti come un cantiere aperto che permette ai cittadini e ai turisti di osservare i restauratori dal vivo e di seguire il procedere dell’intervento attraverso un Diario del restauro, ovvero un report video pubblicato ogni settimana sul sito del VIVE. Inoltre, l’11 giugno, il 27 agosto e il 27 settembre, una visita guidata permetterà di salire eccezionalmente sui ponteggi.
Noi di exibart siamo saliti lo scorso 30 maggio e nel lato occidentale abbiamo incontrato una delle restauratrici all’opera sulla raffigurazione dell’Amor patrio che pugna e vince. «Il restauro si è avviato con una profonda azione di pulizia. Abbiamo dato un biocida, completamente naturale e fatto di oli essenziali, per necrotizzare gli attacchi biologici di muffe, licheni, funghi e alghe che stanno deteriorando il Botticino, marmo pregiato e resistente nelle cui venature – tante e caratteristiche, formatesi nel lento processo di sedimentazione, cementazione e ricristallizzazione di fanghi calcarei, ricchi di organismi – si infiltrano gli attacchi rompendo i cristalli della pietra. Stiamo ultimano la spazzolatura per poi proseguire con il consolidamento, che è fondamentale per impedire, anche, l’assorbimento dello smog».
All’azione conservativa, che nella fase del consolidamento rimuoverà anche le infiltrazioni calcaree con scalpello e resine, si accompagna quella dello studio scientifico per ricostruire tecniche, metodi e fasi costruttive dell’opera. La restauratrice ci racconta e ci mostra anche «zone scialbate a tinta calda, che da lontano enfatizzano il chiaro-scuro, di cui sono stati prelevati campioni, per comprendere se sono originali o se si tratta di interventi successivi, e come sono state realizzate«. Nell’eccezionale contatto ravvicinato è possibile notare anche i cosiddetti “buchini” testimoni di come, in fase di realizzazione novecentesca, Zanelli segnasse il disegno per riportare pedissequamente il bozzetto sulla pietra. È nella natura e nelle intenzioni di VIVE, infatti, restituire la piena leggibilità all’opera di Zanelli, fin nei dettagli, consentendone una piena comprensione critica.
Così, per esempio, nel lato occidentale dell’Amor patrio che pugna e vince scopriamo da vicino la qualità di Zanelli di dare profondità ed espressività alle figure, anche con pochi tratti. C’è un particolare del fregio, la cui lunghezza si accompagna a uno sviluppo verticale, in cui possiamo vedere in una serie di livelli differenti uomini e donne che trascinano la trave da cui pende la catena con l’Ara, dietro di loro c’è una grande biga cui sono attaccati i cavalli, dietro ancora dei sonatori e poi cavalli e musicanti in un continuum di profondità. Questo corteo, di evidente matrice classicista, si muove verso La Dea Roma, che vivifica come Zanelli, formato dalla Scuola Italiana tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 e profondo conoscitore delle linee dello sviluppo della pittura a lui contemporanea, seppe mettere in dialogo il classicismo con lo stile della Secessione Viennese: la Dea Roma ha infatti diversi elementi in argento su uno sfondo musivo dorato, con riferimento all’arte di Klimt.
«Fin dal nostro insediamento abbiamo dedicato una cura particolare all’Altare della Patria e alla sua maestosa decorazione scultorea» dichiara Edith Gabrielli, direttrice del VIVE. «Lo abbiamo fatto nella piena condivisione dei valori che l’Altare della Patria ha rappresentato e ancor oggi rappresenta, ma anche perché crediamo fermamente nella qualità di Angelo Zanelli: si tratta di un artista di fama veramente internazionale, come dimostra la sua impresa per Cuba nel 1928, eppure per vari motivi alle volte dimenticato. Il restauro che inauguriamo rappresenta il primo passo di un’operazione di recupero critico più ampia, profonda e articolata». Con la collaborazione della Soprintendenza speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, a conclusione del restauro e nell’ottica di un’operazione che è anche di studio e catalogazione, VIVE dedicherà a alla figura di Angelo Zanelli e alla decorazione dell’Altare della Patria una mostra dei gessi originari (oggi in deposito all’ex Mattatoio di Roma) nella sala Zanardelli del Vittoriano a cura di Valerio Terraroli.
L’incontro ravvicinato, oltre che privilegiato, con Zanelli, la vista mozzafiato dai ponteggi dell’Altare della Patria sulla città eterna e l’intervento a cielo aperto di VIVE consentono, al di là del guardare, di partecipare concretamente alla dimensione dell’incessante tentativo umano di pervenire a una precaria stabilità. È il dolce sentimento della cura, che si spoglia della veste celebrativa e ci viene incontro come un racconto di profonda introspezione, autobiografica e collettiva.
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