Il Tribunale di Firenze ha riconosciuto l’esistenza del diritto all’immagine dei beni culturali, «Quale espressione del diritto costituzionale all’identità collettiva dei cittadini che si riconoscono nella medesima Nazione». La causa riguarda la famosa casa editrice internazionale Condé Nast che, in assenza di concessione dell’uso dell’immagine del David di Michelangelo e senza pagamento di alcun canone per l’utilizzo, pubblicò, nel luglio 2020, sulla copertina della rivista GQ, il capolavoro conservato nella collezione della Galleria dell’Accademia di Firenze, modificato con il meccanismo della cartotecnica lenticolare e quindi sovrapposto all’immagine di un modello, persona realmente esistente, in chiave apertamente pubblicitaria.
Nelle intenzioni della casa editice, la statua del David di Michelangelo, icona formale ma anche etica rinascimentale, doveva ibridarsi con l’immagine di Pietro Boselli, famoso modello italiano. Nel progetto, intitolato “New Rinascimento” e dedicato al made in Italy, compariva anche un commento di Massimiliano Gioni sulla contemporaneità del messaggio del David.
Accogliendo le tesi sostenute dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, il Tribunale ha citato l’art. 9 della Costituzione, valore fondante del nostro ordinamento che recita: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione…». «Come viene garantito, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, il diritto alla identità personale, inteso come diritto a non veder alterato e travisto il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico e professionale, così occorre  tutelare, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione, il diritto all’identità collettiva dei cittadini che si riconoscono come appartenenti alla medesima Nazione anche in virtù del patrimonio artistico e culturale che è parte della memoria della comunità nazionale», si legge in un comunicato diffuso dalla Galleria dell’Accademia.
Il Tribunale di Firenze ha così riconosciuto che la riproduzione non autorizzata dell’immagine del David di Michelangelo ha determinato un danno di carattere patrimoniale, legato al mancato pagamento del canone per l’uso del bene, calcolato in € 20mila euro, così come da tariffario del Museo. Ma soprattutto si è configurato un danno di natura non patrimoniale, quantificato in 30mila euro, poiché la società editoriale, tramite l’utilizzo della tecnica lenticolare, «Ha insidiosamente e maliziosamente accostato l’immagine del David di Michelangelo a quella di un modello, così svilendo, offuscando, mortificando, umiliando l’alto valore simbolico ed identitario dell’opera d’arte ed asservendo la stessa a finalità pubblicitarie e di promozione editoriale».
Non è la prima volta che il David si trova al centro delle aule dei tribunali. Nel 2017, ancora il Tribunale di Firenze accordò – con un’ordinanza cautelare – tutela all’immagine del David di Michelangelo inibendone l’uso illecito a fini commerciali. In quel caso, la Galleria dell’Accademia citò in giudizio un’agenzia di viaggi – che offriva ai suoi clienti accessi ad alcuni musei italiani, con visite guidate a prezzi superiori rispetto a quelli praticati dalla biglietteria del museo – per aver utilizzato una foto del David sul suo materiale promozionale. Secondo la Galleria dell’Accademia, che trovò riscontro in Tribunale, si configurava una violazione degli articoli 107 e 108 del Codice dei beni culturali, poiché la statua rientrava tra i beni tutelati dal Codice, perché l’utilizzo di un’immagine raffigurante il David è considerato una riproduzione ai sensi del Codice, perché tale riproduzione non era stata autorizzata dalla Galleria dell’Accademia e perché nessun corrispettivo era stato pagato dall’agenzia di viaggi.
Nel 2022, sempre il Tribunale di Firenze condannò un centro di formazione toscano per scultori per aver diffuso una campagna pubblicitaria online in cui veniva riprodotta l’immagine del David di Michelangelo, senza aver ottenuto l’autorizzazione della Galleria dell’Accademia. «La volgarizzazione dell’opera d’arte e culturale e la riproduzione senza il preliminare vaglio ad opera delle autorità preposte con riferimento alla compatibilità tra l’uso e il valore culturale dell’opera, crea il pericolo di un danno irreversibile per tutti quegli usi che l’autorità preposta dovesse giudicare incompatibili», si leggeva nell’ordinanza. In questo caso, dunque, si fa riferimento esplicito, per la prima volta, a un danno d’immagine nei confronti dell’opera d’arte, che va ad aggiungersi al diritto del proprietario dell’opera.
Sempre a proposito di “modelli” maschili da storia dell’arte, a febbraio 2023, fu l’Uomo Vitruviano, conservato alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, a destare scalpore. Il Tribunale sanzionò la famosa azienda tedesca dei puzzle Ravensburger, che aveva utilizzato a fini commerciali l’immagine dell’opera di Leonardo da Vinci.
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