Secondo quanto confermato da fonti locali, il Museo di Storia Locale di Ivankiv, nella regione di Kiev, è stato distrutto nella notte tra il 27 e il 28 febbraio 2022, durante le operazioni militari dell’esercito della Federazione Russa per il controllo dell’area, causando la perdita di oltre venti opere di Maria Prymachenko, pittrice d’arte popolare e rappresentante dell’arte naïf.
«L’attacco armato della Russia all’Ucraina sta distruggendo numerosi siti del patrimonio civile e culturale. Un’altra perdita irreparabile del patrimonio storico e culturale dell’Ucraina è la distruzione del Museo Ivankiv di storia e tradizioni locali, dove tra le molte opere c’erano anche quelle della famosa artista ucraina Maria Prymachenko», ha scritto sulla sua pagina Facebook Vlada Litovchenko, direttrice della Riserva storica e culturale di Vyshhorod.
Già nelle prime fasi del conflitto era intervenuta anche l’ICOM – International Council of Museums, la principale organizzazione internazionale non governativa che rappresenta i musei e i suoi professionisti, che ha espresso la sua ferma condanna alla «Violazione dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina» da parte delle forze militari della Federazione Russa. «In tempi di conflitto e di incertezza come questi, l’ICOM deve anche esprimere la sua profonda preoccupazione per le implicazioni che questa incertezza avrà sulla sicurezza dei membri dell’ICOM, del personale del museo e del patrimonio culturale in Ucraina», si legge nel comunicato.
Per aiutare a proteggere il patrimonio artistico e culturale ucraino è a disposizione un typeform per istituzioni internazionali e per soggetti privati che sono pronti ad aiutare nelle operazioni di evacuazione di archivi d’arte e oggetti.
E in Italia si è mosso anche il MAXXI di Roma, che ha deciso di devolvere tutti gli incassi nei giorni di massimo afflusso del pubblico, cioè domenica 27 febbraio e domenica 6 marzo, al fondo costituito da UNHCR, UNICEF e Croce Rossa per l’emergenza umanitaria in Ucraina. La decisione è condivisa anche con Contrasto, partner del museo per la mostra “Amazonia” di Sebastiao Salgado. «Facciamo appello al nostro pubblico – per partecipare insieme a questo impegno concreto di solidarietà», hanno dichiarato dal museo.
La distruzione delle opere d’arte e dei beni culturali è uno degli effetti di tutte le guerre. Molti sono gli esempi anche nella storia recentissima. Fu il caso della Biblioteca di Sarajevo oppure del ponte di Mostar, distrutto dalle forze croato-bosniache nel corso della guerra in Bosnia, la mattina del 9 novembre 1993. Ancora, durante il conflitto nel Kossovo del 1999 furono distrutti circa 200 moschee e 90 monasteri ortodossi. Nel 2014 l’ISIS devastò il museo di Mosul, in Iraq, mentre risale al 2012 l’incendio della biblioteca di Timbuctu, nel Mali, sede della più antica università del Maghreb, da parte delle milizie islamiche di Aqmi e Ansar. Drammaticamente iconiche poi le immagini dell’antica città di Palmira e dei vecchi quartieri di Aleppo, in Siria, oggetto di sistematiche distruzioni dello Stato Islamico, nel 2013.
L’UNESCO aggiorna periodicamente una lista di patrimoni dell’umanità in pericolo, sia per causa naturali che per eventi bellici, per i quali sono necessarie maggiori azioni di tutela. L’area geografica con il più alto numero di siti a rischio si trova nei Paesi arabi, con 21 siti, di cui sei in Siria e cinque in Libia.
Tra i principi fondamentali delle attività dell’UNESCO rientra anche quello della creazione di un movimento internazionale per proteggere i monumenti storici in caso di conflitto armato. Il primo accordo internazionale a regolare la protezione dei monumenti durante la guerra fu la Convenzione de L’Aia del 1954, che affrontava anche l’illecito trasferimento dei beni mobili. Successivamente, nel 1999, una nuova conferenza diplomatica ha adottato il II Protocollo che ha introdotto un nuovo regime, detto di protezione rafforzata.
Nel 2016 l’UNESCO, in collaborazione con l’Istituto internazionale di diritto umanitario ha pubblicato un manuale intitolato “Protection of Cultural Property: Military Manual”. Il testo descrive e specifica gli obblighi contenuti nel secondo protocollo e fornisce indicazioni pratiche alle forze armate sull’applicazione delle norme.
La Russia è membro dell’UNESCO dal 21 aprile 1954, come URSS, e dal 1991 come Federazione Russa. Il ministro della cultura ucraino, Olexander Tkachenko, ha richiesto all’UNESCO di revocare alla Russia lo status di membro dell’organizzazione, oltre che di cambiare il Paese organizzatore della 45a sessione del Comitato del patrimonio mondiale, che dovrebbe svolgersi dal 19 al 30 giugno 2022 nella città russa di Kazan.
In Ucraina sono sette i siti nella lista del Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO: la Cattedrale di Santa Sofia a Kiev, Il centro storico di Leopoli, l’arco geodetico di Struve, le antiche faggete primordiali dei Carpazi, la residenza dei metropoliti bucovini e dalmati, l’antica città di Cherson – che, secondo quanto scritto da Tkachenko, avrebbe subito danni a causa delle azioni russe -, e le Tserkvas, cioè le chiese in legno della regione dei Carpazi.
Intanto, la Biennale di Venezia ha diramato un messaggio di risposta alla decisione del curatore e degli artisti del Padiglione della Federazione Russa che, avendo rassegnato le dimissioni dal loro incarico, hanno di fatto annullato la partecipazione alla 59ma Esposizione Internazionale d’Arte, in apertura ad aprile 2022.
«La Biennale esprime piena solidarietà per questo atto coraggioso e nobile e condivide le motivazioni che hanno portato a questa scelta, che drammaticamente raffigura la tragedia in cui si trova l’intera popolazione dell’Ucraina», si legge nel testo. «La Biennale resta il luogo di incontro fra i popoli attraverso le arti e la cultura e condanna chi impedisce con la violenza il dialogo nel segno della pace».
Le porte chiuse del Padiglione Russo saranno eloquenti, al pari di quelle del Padiglione Ucraino, ugualmente chiuse, ma, proprio in virtù del messaggio di concordia, armonia e collaborazione di cui dovrebbe farsi portavoce la cultura, la speranza è che una modalità per rappresentare la libera voce dell’arte russa – forse ancora più preziosa in una situazione del genere – possa trovarsi, magari ospitando progetti specifici e a tema presso le sedi degli altri padiglioni, evitando di portare la discussione sul pericoloso piano inclinato della caccia alla Baba Jaga.
Diverse figure di spicco nel mondo dell’arte ucraino hanno invocato sanzioni per limitare la presenza della Russia nella cultura internazionale, richiedendo il divieto agli artisti russi di partecipare a mostre e fiere internazionali, dalla Biennale di Venezia ad Art Basel. «La Russia è effettivamente uno stato totalitario e troppo spesso utilizza strumenti culturali per la propaganda di Stato. La Federazione Russa è uno Stato canaglia. La cultura russa, se usata come propaganda, è tossica!», si legge in una dichiarazione pubblicata sul sito web di Ukrinform, l’agenzia di stampa statale.
Tra i firmatari ci sono Galyna Grygorenko, capo dell’Agenzia statale dell’Ucraina per le arti e l’educazione artistica, Volodymyr Sheiko, direttore dell’Ukrainian Institute, e numerosi mercanti d’arte, registi, direttori d’orchestra, musicisti e artisti, oltre allo stesso Tkachenko e a Pavlo Makov, l’artista chiamato a rappresentare l’Ucraina alla Biennale di Venezia 2022.
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