Categorie: Beni culturali

Ma quindi la Scalinata di Trinità dei Monti è francese?

di - 16 Settembre 2024

È uno dei simboli più iconici e scenografici di Roma e dell’arte architettonica tardo barocca italiana, con la sua monumentalità opulenta e funzionale. Solo che la Scalinata di Trinità dei Monti, realizzata tra il 1723 e il 1726 su progetto dell’architetto romano Francesco De Sanctis per raccordare il dislivello tra le pendici del Pincio e piazza di Spagna, potrebbe non essere italiana. Almeno sono la Corte dei conti di Parigi che, in un lungo report, tra le varie altre cose, mette in evidenza come lo status giuridico di Trinità dei Monti debba essere chiarito. La notizia, ripresa da Le Monde, ha mandato in subbuglio l’opinione pubblica e politica nostrana, con vari esponenti di governo, tra cui Fabio Rampelli, vice presidente della Camera dei Deputati, che hanno accusato la Francia di volere «Riprendere» la scalinata. In effetti, alla base del monumento, compare lo stemma gigliato della Monarchia francese, insieme alle aquile araldiche della casata del papa Innocenzo XIII, nato Michelangelo Conti. E dunque?

«I francesi vogliono la scalinata di Trinità dei Monti? Allora noi dobbiamo riappropriarci di tutti i quadri del Louvre che Napoleone ha portato via», ha risposto Vittorio Sgarbi, in una applicazione dell’occhio per occhio in chiave di beni culturali. Per Viviana Piccirilli di Capua, coordinatrice responsabile dell’associazione abitanti centro storico, ha sottolineato come sia «Evidente che la scalinata sia nostra». A tentare di spegnere l’incendio è stato lo stesso presidente della Corte dei Conti, Pierre Moscovici, che all’Ansa ha voluto «Tranquillizzare i nostri amici italiani: il rapporto chiede solo un chiarimento sulla situazione dei beni, e quando si chiarisce è sempre positivo».

In realtà, infatti, il rapporto della Corte dei Conti ha sì rivelato gravi abusi, ma da parte dei Pii stabilimenti francesi a Roma e a Loreto, un’amministrazione posta sotto l’autorità diretta dell’ambasciatore francese presso la Santa Sede, «Con cinque chiese nazionali a Roma, il Palais Saint-Louis, i domini della Trinité-des-Monts e Lorette così come 13 proprietà in affitto», si legge nel report. La Corte ha individuato una «Gestione opaca e lassista del patrimonio immobiliare, conti bancari a lungo nascosti, nonché spese e investimenti effettuati senza una reale concorrenza. Queste deviazioni nella gestione di un ente posto sotto l’autorità diretta dell’ambasciatore e del ministero richiedono azioni correttive urgenti».

La vicenda, dunque, è molto più articolata di quello che può sembrare e riguarda, da un lato, i rapporti diplomatici, non sempre pacifici anche in epoca moderna, tra Francia, Italia e Stato Pontificio, dall’altro, anzi, di conseguenza, lo status di alcuni beni che, per quanto di uso comune e pubblico – come il caso lampante della Scalinata – sono situati in un limbo giuridico.

A Roma, la Francia vanta il possesso di cinque chiese storiche, insieme alle opere d’arte che custodiscono: la celebre San Luigi dei Francesi, i Santi Claudio e Andrea dei Borgognoni, San Nicola dei Lorenesi e l’elegante Sant’Ivo dei Bretoni e la maestosa Trinità dei Monti. Ma non è tutto. Il patrimonio francese nella capitale include anche 13 edifici, che comprendono circa 180 proprietà tra uffici, negozi e appartamenti, tra cui anche Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia a Roma. Gli affitti di questi spazi generano i fondi necessari per il mantenimento e il restauro di questi luoghi sacri. Secondo quanto riportato da Le Monde, il valore complessivo di queste proprietà si aggira attorno ai 250 milioni di euro, con un introito annuo di circa 4,5 milioni di euro. Fondi che sono appunto gestiti dai Pii Stabilimenti che, per esempio, finanziarono completamente il restauro di Trinità dei Monti, con 1,8 milioni di euro, tra il 2013 e il 2017.

La storia della scalinata inizia però molto prima ed è il frutto di un complesso intreccio tra la Santa Sede e la corona di Francia, segnato da controversie diplomatiche e da una collaborazione ambivalente. Già nel XVI secolo, sotto il pontificato di Gregorio XIII (1572-1585), la Camera Apostolica aveva espresso il desiderio di edificare una scalinata monumentale simile a quella dell’Aracoeli. Tuttavia, fu solo nel 1660, grazie al lascito del banchiere francese Stefano Gueffier, che si aprì la possibilità concreta di avviare il progetto.

Alcuni tra i più illustri architetti dell’epoca presentarono le loro proposte. Fondamentale fu il disegno attribuito a Gian Lorenzo Bernini, che introdusse l’innovativa combinazione di superfici concave e convesse, insieme alle rampe a tenaglia che caratterizzano la struttura finale. Tuttavia, una disputa persistente tra lo Stato Pontificio e la Francia riguardo al controllo dell’area su cui sorgeva la chiesa impedì l’inizio dei lavori, con la Francia che rivendicava il possesso dell’area in virtù del proprio patrocinio sulla chiesa di Trinità dei Monti.

La tensione si risolse solo quando papa Clemente XI indisse un concorso, nel 1717, per la progettazione della scalinata. Nonostante ciò, le lunghe negoziazioni con la Monarchia francese ritardarono ulteriormente l’avvio dei lavori, che presero finalmente il via sotto Innocenzo XIII. La scalinata fu completata nel 1726 sotto il pontificato di Benedetto XIII e con i fondi della Monarchia, portando con sé, appunto, i simboli araldici delle due potenze coinvolte: le aquile della famiglia Conti, alla quale apparteneva Innocenzo XIII, e i gigli francesi, impressi sui cippi alla base del monumento.

Il Sovrintendente ai Beni culturali di Roma, Claudio Parisi Presicce, ha specificato all’Adnkronos che dal Novecento in poi la Scalinata è sempre stata «Mantenuta, restaurata e gestita in tutti gli aspetti dall’amministrazione comunale di Roma». Nel 2016, il restauro più recente, grazie agli 1,5 milioni di euro messi a disposizione da Bulgari a Roma Capitale, in occasione del 130mo anniversario della maison.

La questione sollevata dalla Corte dei Conti parte proprio dalle responsabilità dei restauri e della manutenzione della Scalinata che, per lunghi periodi, è stata manutenuta dai Pii Stabilimenti. Gestiti da un amministratore ecclesiastico e da un tesoriere laico, i Pii Stabilimenti operano in una zona grigia, emerso appunto dal report della Corte dei Conti. Questi due soggetti sembrano agire infatti con ampia autonomia, resa possibile dall’incertezza riguardo a chi debbano rendere conto per le ingenti somme di denaro che ogni anno generano e reinvestono. La Corte di Cassazione italiana ha stabilito che lo Stato italiano non può tassare i loro beni, in quanto formalmente di proprietà francese. Tuttavia, secondo le autorità francesi, i Pii Stabilimenti costituiscono un ente autonomo, che risponde semmai alla Santa Sede, accentuando quindi l’ambiguità giuridica e fiscale. E che, di conseguenza, avvolge i suoi beni.

«La Scalinata è un luogo monumentale e di altissimo valore artistico ma è anche un passaggio pubblico ed è quindi senza discussioni parte integrante di Roma capitale d’Italia», ha ribadito il Sovrintendente.

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