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Il caso di Palazzo Odescalchi: presentata l’interrogazione al Ministro Franceschini
Beni culturali
di redazione
Da diversi anni è al centro di accese polemiche a causa di sparizioni sospette di opere d’arte e di una serie di restauri che ne avrebbero alterato la struttura originaria, risalente ai progetti di Carlo Maderno e Gian Lorenzo Bernini. E adesso che il caso di Palazzo Odescalchi è arrivato in Commissione, toccherà al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali renderne conto: a firmare l’interrogazione è stata Vincenza Bruno Bossio, deputata del Partito Democratico, chiedendo al Ministro Dario Franceschini quali iniziative di competenza si intendano assumere, «a tutela del palazzo e delle importanti collezioni per scongiurare il danno irreversibile che si sta configurando sotto agli occhi di tutti da anni», si legge nel testo presentato alla Camera.
La lunga storia di Palazzo Odescalchi, da Bernini a oggi
Le prime fondamenta di Palazzo Odescalchi, situato in piazza Santi Apostoli, uno dei luoghi più celebri di Roma, risalgono a un edificio turrito fatto costruire dai Benzoni, originari di Crema e presenti a Roma dal Quattrocento. Fino al 1622 rientrava tra le proprietà della famiglia Colonna che, nel 1622, lo vendette ai Ludovisi, i quali commissionarono a Carlo Maderno alcuni importanti interventi, tra cui il grande cortile porticato.
Tra il 1661 e il 1665, il palazzo fu ceduto in usufrutto al cardinale Flavio Chigi che, per ingrandirlo, acquistò gli ambienti retrostanti affacciati sul Corso, proprietà dei Mandosi, e quindi affidò un nuovo imponente restauro a Gian Lorenzo Bernini. In particolare, il grande scultore e architetto progettò la facciata sulla piazza Santi Apostoli, che sarebbe poi diventata un modelli per l’architettura barocca italiana ed europea. Bernini ripropose il progetto anche per la facciata del Louvre e la medesima impostazione venne ripresa, per esempio, da Nicodemus Tessin il Giovane per il Palazzo Reale di Stoccolma.
Nel 1693 venne ad abitarvi in affitto il cardinale Benedetto Odescalchi, futuro papa Innocenzo XI, con il nipote Livio Odescalchi, perché i Chigi si erano trasferiti in un nuovo palazzo in piazza Colonna, quello che ancora oggi è chiamato Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio. Nel 1745, l’edificio monumentale passò al principe Baldassare Odescalchi, con ampliamenti commissionati a Nicola Salvi e Luigi Vanvitelli, l’architetto della Reggia di Caserta, che allungarono la facciata sulla piazza.
Nel 1887, il palazzo fu gravemente danneggiato da un incendio. A interessarsi della ristrutturazione fu Baldassarre Ladislao Odescalchi, senatore, proprietario della zona costiera tra Roma e Civitavecchia e fondatore del Comune che da lui prese il nome, Ladispoli, cioè Ladislao polis, città di Ladislao. A seguito dell’incendio, dunque, l’architetto Raffaele Ojetti fu incaricato dei restauri, che si conclusero con il rifacimento completo della facciata sul Corso.
Qui sono conservati capolavori inestimabili della storia dell’arte universale, come la Conversione di San Paolo, conosciuta anche come Conversione Odescalchi per distinguerla da quella di Santa Maria del Popolo, una delle poche opere di Caravaggio ancora di proprietà di privati. Nel corso degli anni, però, sono andati dispersi diversi beni di grande pregio, come le tappezzerie eseguite su cartoni da Giulio Romano e da Rubens. Gli Odescalchi sono ancora proprietari del Palazzo ma parte del complesso è suddivisa in varie unità immobiliari, in affitto, ed è proprio sulla reale entità delle collezione oltre che sull’impatto e le finalità dei lavori di ristrutturazione che verte l’interrogazione di Bruno Bossio.
L’interrogazione di Vincenza Bruno Bossio al Ministro Franceschini
Nell’interrogazione, la deputata ricostruisce la vicenda di alcune delle opere disperse dalla collezione di Palazzo Odescalchi: «dipinto del monogrammista MO del 1566, Festival di corte in giardino di Villa italiana, venduto alla Trynity Fine Art di Londra; La Resurrezione di Saturnino Gatti (1463-1518) olio e tempera su tavola, privato dall’ingombrante cornice dorata per renderlo più agevolmente espatriabile, era in vendita da Christie’s New York, asta n. 8338 il 12 gennaio 1996, “Important Old Master Paintings”, lotto 40; Marcantonio Franceschini (1648-1729) Scena campestre, disegnata da Fragonard (Londra, British Museum); Gaudenzio Ferrari, il “Raffaello delle Alpi”, la Sacra Famiglia (unico quadro venduto a comparire nella denuncia di successione); Vanvitelli Vedute di Tivoli e di Grottaferrata». In particolare, l’interrogazione si concentra sulla vicenda dei taccuini. Oltre ai «31 taccuini di disegni della Regina Cristina di Svezia», quello «con 99 disegni autografi di Pietro da Cortona e Ciro Ferri», sequestrato alla Dogana di Fiumicino dalla Guardia di finanza «a seguito di tentativo di esportazione clandestina».
«Nel 1997 si chiuse la vicenda del taccuino di Giulia Odescalchi, essendo largamente trascorsi i termini previsti dalla legge senza che nessuno avesse intrapreso azioni per far valere il diritto alla restituzione del bene furono assegnati all’istituto per la Grafica». Altro taccuino Odescalchi con i paesaggi di Francesco Allegrini è emerso di recente sul mercato antiquario londinese. «Degli altri 29 preziosi taccuini non se ne sa più nulla». Secondo Bruno Bossio, «stanno per essere dispersi anche i dipinti di Lucio Massari (1569-1633) La Fede e Thamar (n. 38 inv.) e Susanna tra i vecchioni (n. 36 inv.) (tra i più grandi pittori bolognesi con sue opere ai Musei Capitolini, Uffizi e Louvre)». «Avendo già venduto a Londra e New York diverse opere, il sequestro preventivo dei dipinti Odescalchi scongiurerebbe anche questa circostanza. Tutti gli episodi relativi a palazzi e a collezioni storiche romane, scompaginando un insieme di altissimo profilo culturale e storico, infliggono un duro colpo alla cultura capitolina», conclude l’interrogazione e, ora, per capire il destino di Palazzo Odescalchi e di uno dei luoghi più importanti della storia e della cultura italiane, non rimane che aspettare la risposta in Commissione di Dario Franceschini.