02 gennaio 2024

La Canestra di Caravaggio, dall’Ambrosiana ad Asti: il prestito fa discutere

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Il prestito della Canestra di Frutta di Caravaggio, conservata alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, dà occasione di discutere sulla prassi della movimentazione delle opere più rappresentative delle collezioni

Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Canestra di frutta, 1597-1600, Olio su tela, cm 47x6. Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Pinacoteca – Milano © Veneranda Biblioteca Ambrosiana / Mondadori Portfolio
Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Canestra di frutta, 1597-1600, Olio su tela, cm 47x6. Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Pinacoteca – Milano © Veneranda Biblioteca Ambrosiana / Mondadori Portfolio

Da sempre il trasferimento o lo spostamento di opere dalle proprie sedi istituzionali e storiche ha destato non poche preoccupazioni e discussioni tra gli addetti ai lavori e non solo. Ricordiamo, tra i numerosi esempi, il viaggio che la Pietà Vaticana di Michelangelo fece negli Stati Uniti, nel 1964, sotto il pontificato di Paolo IV, che pose numerosi e ancora irrisolti quesiti. L’opera di Michelangelo fu richiesta a Giovanni XXIII dal cardinale Francis Spellman per essere esposta al padiglione Vaticano dell’Expo di New York. Nella mente di Papa Roncalli e della Curia romana si prospettarono immediatamente problematiche di ordine etico e sociologico. In altri termini, a fronte di quale beneficio e con quali giustificazioni sarebbe stato lecito mettere a rischio l’integrità e la conservazione di un’opera patrimonio dell’umanità presente e futura?

Il dilemma fu sciolto positivamente, in favore del trasferimento della Pietà. Papa Giovanni prima e Paolo VI dopo decisero che il rischio poteva essere corso e che fosse eticamente sostenibile in ragione dell’enorme debito che il continente europeo e l’Italia avevano contratto con gli Stati Uniti per la liberazione dal nazifascismo.

Gli studiosi si occuparono di progettare e realizzare ogni precauzione tecnica atta a ridurre o eliminare ogni ipotizzabile rischio per l’opera. Si optò per il viaggio in nave, all’epoca ritenuto meno rischioso di quello aereo. Fu costruita una cassa che non solo riducesse l’azione di forze impreviste e dannose sull’opera ma che, in caso di affondamento della nave, si separasse da questa, venisse a galla e azionasse strumenti luminosi per l’avvistamento e recupero. L’opera arrivò in perfette condizioni nella sede espositiva, fu visitata e ammirata da 27 milioni di americani.

Ovviamente un tanto alto numero di visitatori non avrebbe, da solo, giustificato il rischio assunto da coloro che avevano e che hanno l’onere di preservare e conservare l’opera di Michelangelo. Del resto 27 milioni di persone rappresentano un numero esiguo e limitato rispetto all’umanità futura che potrà godere della Pietà nella sua sede storica e dalla quale, prima di quel momento, non era mai stata allontanata.

Rimanendo nell’ambito degli Expo, nel 2015, per quello di Milano, lo storico dell’arte Vittorio Sgarbi propose che venissero esposti i Bronzi di Riace. La proposta venne alquanto velocemente rifiutata nonostante, perlomeno a parere di chi scrive, non fosse del tutto illogica nella motivazione né priva di caratura intellettuale. Sostenne infatti il proponente che i Bronzi avrebbero rappresentato il valore della cultura classica e mediterranea quando, alle soglie del III millennio, questa sembrava perdere il proprio ruolo di faro delle civiltà. I Bronzi avrebbero ricordato ai numerosi visitatori dell’Expo come i rapporti fra le più avanzate tecnologie e la cultura classica fossero di stretta derivazione causale e legati da rapporto di necessità.

Nel 1964 lo spostamento della pietà di Michelangelo negli Stati Uniti venne supportato da una motivazione etica. Nel 2015, in relazione alla proposta (non accolta) di spostare i Bronzi di Riace da Reggio Calabria a Milano, la motivazione addotta fu di natura culturale.

Con tali premesse ci chiediamo quale potrebbe essere stata la motivazione dello spostamento della Canestra di frutta di Caravaggio dalla Pinacoteca Ambrosiana di Milano a Palazzo Mazzetti di Asti, fulcro della mostra Segreti ed enigmi della Natura Morta, curata da Costantino D’Orazio. Non pare ipotizzabile una giustificazione di ordine etico. La città di Milano non risulta abbia debiti storici o attuale verso quella di Asti. Nessuna motivazione di tipo culturale o sociale pare correttamente ipotizzabile (abbiamo provato a contattare il museo ospitante, gestito dalla Fondazione Asti Musei, a sua volta istituita da Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, ma non abbiamo ancora ricevuto risposta). Non resta che prospettare una motivazione di carattere economico. Tale ipotesi parrebbe suffragata dalla presenza di alcune banche tra i promotori dell’evento.

Ph. Giuseppe Simone Modeo

Siamo quindi arrivati a proporci la questione se un museo, per finanziarsi, possa o debba ricorrere alla cessione onerosa e temporanea delle proprie opere fondative, ovvero di quelle per cui il visitatore acquista il biglietto.

Negli anni ‘60 fu ipotizzato, solo come studio di fattibilità, lo spostamento temporaneo della Gioconda dal Louvre di Parigi. Lo studio non fu concluso in quanto venne ritenuto destituito di interesse per la valutata incedibilità dell’opera, apprezzata come costituente il nucleo di interesse principale e insostituibile per il visitatore. La stessa argomentazione, con maggior forza, è sostenibile per la Canestra della Biblioteca milanese, che costituisce non la principale ma forse l’unica attrazione per la stragrande maggioranza dei visitatori.

Ph. Giuseppe Simone Modeo

Si ritiene che oggi si sia creato una sorta di vincolo o di vero e proprio “contratto sociale” tra museo e fruitori. Quel museo che, negli anni, pubblicizza certe opere e crea aspettative tra i propri potenziali visitatori, non dovrebbe deluderli per mere ragioni di convenienza economica. Ove si ritenesse altrimenti, dovremmo registrare l’apertura di una nuova stagione dei finanziamenti dei musei pubblici e privati che difficilmente potrà trovare favorevole accoglienza tra gli esperti e nel variegato mondo dei fruitori.

Ph. Giuseppe Simone Modeo

Ove ancora tale ipotesi si concretizzasse, riteniamo che dovrebbe essere compito dello Stato regolamentare tali scambi con una specifica normativa che garantisca le legittime aspettative dei visitatori, prevedendo per legge le opere “non cedibili”.

In ogni caso, la curiosità mi ha spinto a visitare la mostra di Asti. È una bella mostra, intelligentemente costruita e ben spiegata dalle didascalie. Con circa 20 dipinti, prestati da collezioni private, come la Pallavicini e la Cremonini, oltre che da altri musei, come Galleria Borghese e Venaria Reale, rende omaggio a Caravaggio nella specie dell’inventore della natura morta, ovvero colui che è riuscito a compiere il miracolo dell’arte ricorrendo a “cose” non più animate e a svelare il mistero dell’esistenza, della vita con dentro la morte, senza operare alcun ricorso alla figura umana. L’esposizione è ben costruita anche sotto il profilo storico, dimostrando come presso lo studio del Cavalier d’Arpino probabilmente Brueghel il Vecchio ebbe a subire la fascinazione dell’opera del Merisi, portando e sviluppando nei Paesi Bassi il gusto di tale forma artistica.

Ph. Giuseppe Simone Modeo

3 Commenti

  1. Se l’opera non ha problemi di conservazione, se non ci sono rischi durante lo spostamento, ruolo svolto da ditte specializzate con casse fatte su misura etc etc, se dove sarà esposta l’opera è un luogo idoneo, quali sono i motivi per non prestare il dipinto?
    Il prestare opere d’arte è una buona consuetudine che tiene attiva l’interazione tra possessori, specialmente gallerie, musei e collezioni pubbliche. Non tutti possono permettersi o riescono viaggiare per godere di manufatti così straordinari

  2. Ha visitato la mostra? Sicuro? E non si è accorto che si parla di un limone e non di una mela cotogna com’è nella realtà??

  3. Dell’opera di Klimt del museo di Piacenza(quadro che porta alla pinacoteca gran parte dei visitatori) in prestito per mesi al Forte di Bard…non ne parla nessuno?!

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