La grande mostra a lui dedicata alle Scuderie del Quirinale ha chiuso il 30 agosto, facendo contare oltre 162mila visitatori, ma Raffaello continua a far parlare di sé, attraverso una delle sue donne: sono stati infatti resi noti i risultati della campagna di indagini sulla Fornarina, tornata esposta dopo cinque mesi a Palazzo Barberini, sede delle Gallerie Nazionali di Arte Antica.
Come spesso capita, infatti, le grandi mostre, oltre a presupporre una massiccia movimentazione di opere, rappresentano anche l’occasione buona per effettuare importanti interventi di analisi, onde programmare una corretta conservazione e, nel caso, dei lavori di restauro. A presentare i risultati, Paolo Branchini (INFN), Alessandro Cosma (Gallerie Nazionali Barberini Corsini), Giovanna Martellotti (CBC Conservazione Beni Culturali Soc. Coop), Chiara Merucci (Gallerie Nazionali Barberini Corsini) e Claudio Seccaroni (ENEA).
Il dipinto sarà esposto nella Sala 16 del piano nobile di Palazzo Barberini, nell’ala intitolata “Lo sguardo del Rinascimento”, con altri grandi capolavori della storia dell’arte, come la Maddalena che legge, di Piero di Cosimo, il Ritratto di Stefano Colonna, del Bronzino, e il Ritratto di Enrico VIII, di Hans Holbein.
Realizzata intorno al 1520 e nella Collezione Barberini almeno fin dal 1642, apprezzata per la sua fresca sensualità, la Fornarina è uno dei dipinti più noti di Raffaello, che conservò la tavola nel suo studio fino alla morte e la firmò scrivendo il suo nome, RAPHAEL VRBINAS, sul bracciale della donna ritratta, sulla cui identità ancora si dibatte. Secondo la maggior parte degli storici dell’arte, potrebbe trattarsi di Margherita Luti, figlia di un fornaio di Trastevere – per questo fornarina – e tra le amanti di Raffaello, come lascerebbe presupporre il nome sul braccialetto, un pegno d’amore.
Ma la titolazione dell’opera è di molto successiva, risalente a non prima del XVII Secolo. Precedentemente, era nota solo come «una donna nuda ritratta dal vivo, mezza figura». In effetti, la stessa paternità dell’opera non è ancora certissima, anche se ormai accettata per consuetudine. Molto probabilmente si tratta di un lavoro a più mani – con interventi più o meno importanti di Giulio Romano –, come del resto capitava spesso nella bottega di Raffaello e non solo.
Già era noto da precedenti esami radiografici che l’opera venne realizzata in due riprese, con differenze significative tra le versioni. Invece del cespuglio di mirto sacro a Venere – ennesimo segno delle implicazioni amorose nascoste nel ritratto –, sullo sfondo doveva apparire un paesaggio ispirato ai modi leonardeschi. Le indagini realizzate lo scorso 28, 29 e 30 gennaio, alle quali sono seguiti mesi di approfondimento e valutazione storico scientifica dei dati acquisiti, hanno mappato la distribuzione degli elementi chimici presenti sulla Fornarina, consentendo di fare chiarezza sulla tecnica di Raffaello, risalendo ai pigmenti utilizzati dall’artista.
In particolare, è stata effettuata una scansione macro della Fluorescenza dei Raggi X (MA-XRF) a cura di Emmebi diagnostica artistica e Ars Mensurae, con degli strumenti messi a punto nell’ambito del Progetto MUSA – Multichannel Scanner for Artworks, in collaborazione con l’INFN – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare Sezione di Roma Tre, CHNET – Cultural Heritage Network, CNR ISMN, il Dipartimento di Scienze Università Roma 3, Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Scienze di Base e Applicate per l’Ingegneria.
Le immagini della distribuzione del ferro e del piombo, hanno confermato l’impostazione di una sotto-stesura di base chiaroscurata, una pratica diffusa ai primi del Cinquecento e presente anche in altri dipinti raffaelleschi. La distribuzione del mercurio, che indica l’impiego di cinabro, ha ribadito l’importante modifica del fondo, già individuata dalle radiografie eseguite nel 1983, che ha comportato un riassetto chiaroscurale della figura.
La lettura delle immagini della distribuzione del rame, del ferro, del calcio e del manganese hanno restituito un’inedita visione del fondo di vegetazione, evidenziandone tutta la complessità. Stesure a base di terre (ferro) o di terra d’ombra (ferro e manganese) sono emerse per le foglie più ampie, mentre i rami del mirto risultano essere a base di un verde di rame e di nero d’ossa.
Insomma, una visione più che ravvicinata e che ci ha detto molto della Fornarina, senza però dissipare completamente l’aura di mistero, che accompagnerà ancora per molto tempo l’opera di Raffaello.
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