Nei giorni in cui la Russia sta attraversando l’ennesima crisi interna, a seguito della morte di Alexei Navalny, l’oppositore di Vladimir Putin più conosciuto al mondo e condannato lo scorso agosto a una pena detentiva supplementare di 19 anni, un altro mistero – anche se di diversa portata e in tutt’altro ambito – scuote il mondo culturale del Paese. Nina Moleva, una delle critiche d’arte più conosciute e influenti in Russia, è morta all’età di 98 anni, lasciando in eredità al presidente Vladimir Putin una misteriosa collezione di opere il cui valore potrebbe arrivare anche a 2 miliardi di dollari. «Nina Mikhailovna Moleva – scrittrice, eminente studiosa di storia e arte, giornalista e veterana di guerra – è morta l’11 febbraio», ha dichiarato nei giorni scorsi il Ministero della Cultura russo a Interfax. La raccolta di Moleva sarebbe composta da oltre mille dipinti, sculture e altre tipologie di pezzi, realizzati da maestri come Leonardo da Vinci, Rembrandt, Rubens, Velazquez, Tiziano e Michelangelo.
Secondo quanto riportato dal tabloid Moskovsky Komsomolets, nel 2013 la donna decise di donare l’intera collezione allo Stato ma citò il nome di Putin solo dopo aver appreso dal suo avvocato che aveva bisogno di nominare una persona. In ogni caso, questo gesto non solo consolidò la sua posizione come figura di spicco nel mondo dell’arte ma scatenò anche un acceso dibattito tra gli esperti, riguardo all’autenticità e all’origine delle opere.
Nata il 5 dicembre 1925, Moleva ha pubblicato 120 libri sui pittori russi ed è stata membro dell’Unione degli scrittori e dell’Unione degli artisti. Il suo lavoro come storica e critica d’arte è stato determinante nel preservare e promuovere l’arte russa. Si laureò nel 1947 all’Università statale di Mosca e nel 1950 fu assegnata come consulente artistica al Dipartimento Cultura del Comitato Centrale del Partito Comunista e all’organo editoriale Pravda. Dal 1958 al 1964 insegnò ai Corsi letterari superiori dell’Unione degli scrittori dell’URSS, tenendo un corso di psicologia della creazione e della percezione dell’opera d’arte. Alla fine degli anni ’60 tenne un ciclo di conferenze sulla cultura russa e slava a Varsavia, Parigi e Milano ed ebbe vari incarichi di docenza nelle università svizzere.
Moleva ereditò gran parte della collezione dal marito, Ely Bielutin, scomparso nel 2012 a 86 anni e tra gli artisti d’avanguardia più importanti in Russia, fondatore della scuola Novaja real’nost’, Realtà Nuova, le cui opere sono conservate anche nella collezione del Centre Pompidou di Parigi. Fu il nonno di Bielutin, Ivan Grinyov, ad avviare la raccolta, «Voleva diventare un mecenate come Pavel Tretyakov (Il collezionista d’arte del XIX secolo e fondatore della Galleria Tretyakov, ndr), così acquistò molti dipinti alle aste europee», raccontava Moleva in una intervista, nel 2015. Durante la Rivoluzione del 1917, Grinyov, che era un attore dei Teatri Imperiali, nascose le opere in una camera segreta del suo appartamento da 12 stanze su Nikitskij bul’var, nel centro di Mosca. I bolscevichi cacciarono Grinyov e trasformarono la casa in una kommunalka, un appartamento comune che ospitava dozzine di persone e le opere furono riscoperte solo molto tempo dopo, nel 1968. In quell’anno, Moleva e Bielutin ottennero il permesso di tornare ad abitare in tre camere dell’appartamento e spiegarono di aver trovato il tesoro nascosto in una finta soffitta, nelle stesso posto in cui presumibilmente era stato occultato da Grinyov.
Secondo Moleva, la casa d’aste parigina Drouot aveva valutato la collezione a un prezzo iniziale di 400 milioni di dollari, per un valore reale stimato di 2 miliardi. Ma gli storici dell’arte misero in dubbio le sue affermazioni e, come riportato dall’agenzia BNN, il Museo Pushkin di Mosca rifiutò la collezione, quando Moleva, inizialmente, cercò di donarla all’istituzione moscovita.
Sono state avanzate molte teorie su come si sia sviluppata questa misteriosa raccolta. Si dice anche che Bielutin avesse lavorato come ufficiale dello spionaggio sovietico e potrebbe aver contrabbandato le opere dall’Europa per i membri del partito comunista durante gli anni dell’URSS, quindi molti lavori potrebbero essere stati trafugati. La coppia sarebbe stata anche molto vicina a Yury Andropov, capo del KGB negli anni ’70 e in seguito Segretario generale del Partito.
Per la giornalista Alla Shevelkina, la stessa esistenza del nonno di Bielutin non può essere verificata. Shevelkina non è riuscita a trovare sue tracce nei registri dei proprietari immobiliari di Mosca. Ha rintracciato due Grinyov negli archivi del Teatro imperiale ma entrambi erano donne e danzatrici. «Il suo nome non si trova da nessuna parte e a quel tempo tutti i collezionisti erano conosciuti, i fratelli Tretyakov, Sergei Shchukin, Ivan Morozov, non avevano bisogno di nascondersi», spiegava Shevelkina al Moscow Times: «Ivan Grinyov è un’invenzione. Un attore di teatro non avrebbe guadagnato abbastanza per comprare queste opere».
Nel 2015, l’esperto di pittura Eric Turquin confermava al Moscow Times di aver visionato i dipinti insieme a un professionista della casa d’aste Drouot: «Sono state fatte alcune attribuzioni inverosimili ma si trattava di un corpous assolutamente notevole di dipinti religiosi dei secoli XVI e XVII, messo insieme da un colto collezionista dilettante durante l’epoca staliniana». Turquin non ha voluto rilasciare altre dichiarazioni ma, a prescindere dalla provenienza o dal valore della collezione, l’unica cosa che sembra certa, per ora, è il suo proprietario: Vladimir Putin.
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