Vi ricordate quando, alcuni mesi fa, Stephane Distinguin, imprenditore attivo nel settore delle nuove tecnologie, propose di mettere in vendita la Gioconda, per risanare le casse francesi della cultura? Sembrava fantascienza o, almeno, una boutade ma la storia nutre sempre un certo gusto per i risvolti a sorpresa. E così adesso la Royal Academy di Londra, una delle istituzioni culturali più prestigiose e antiche al mondo, sta seriamente pensando di mettere in vendita il Tondo Taddei. Il bassorilievo marmoreo fu realizzato da Michelangelo tra il 1504 e il 1506 ed è nelle collezioni della galleria londinese dal 1829, donato dalla sua proprietaria, Lady Margaret Beaumont, come fonte di ispirazione per gli studenti delle scuole dell’Accademia. Ma sembra proprio che i tempi non siano più adatti ai sognatori: la vendita servirebbe a evitare il licenziamento di 150 dipendenti, a rischio a causa della crisi del lockdown e della pandemia.
«La vendita del Tondo Taddei è già stata discussa. Il suo alto valore potrebbe salvare dei posti di lavoro e tirare fuori la Royal Academy dal caos finanziare in cui si è cacciata», ha confidato un membro dell’istituzione, che ha preferito rimanere anonimo, all’Observer. Come capita per opere di questo genere, il valore economico è tutt’altro che facilmente quantificabile, secondo alcuni esperti potrebbe superare i 100 milioni di sterline. Ancora più difficile stimare il valore storico e simbolico dell’unica opera di Michelangelo esposta nel Regno Unito e che fece letteralmente innamorare John Constable. Per il grande pittore, considerato uno dei maestri dell’arte inglese, prima studente e poi membro, proprio dal 1829, della Royal Academy, il Tondo Taddei era una delle opere più belle al mondo.
Ma le voci in merito sono discordanti. Una riunione speciale per discutere della vendita si è effettivamente svolta ma, come riporta il Guardian, la presidente della Royal Academy, Rebecca Stalter, è inorridita dall’idea di vendere un’opera così importante. Della stessa opinione sembrano essere anche diversi altri accademici. «La Royal Academy non ha intenzione di vendere alcuna opera della sua collezione. Abbiamo il privilegio e la responsabilità di essere custodi di opere d’arte straordinarie. È nostro dovere prenderci cura della nostra collezione permanente, affinché le generazioni attuali e future possano goderne», è la dichiarazione ufficiale dell’istituzione.
Ciò che è palese, invece, è la difficile situazione finanziaria dell’Academy, messa in ginocchio dalla pandemia: i costi annuali devono essere ridotti di 8 milioni di sterline. Vale a dire che quasi la metà dei suoi dipendenti, forse 150 persone, rischia il licenziamento. Fondata il 10 dicembre 1768 da re Giorgio III, la Royal Academy è una independent charity, ovvero una istituzione che non riceve sovvenzioni governative e dipende dalla vendita di biglietti, dagli incassi degli shop, dalla generosità dei donors e degli sponsor. Ma la speranza è che possa comunque ricevere una parte dei fondi di emergenza messi a disposizioni dal governo per far fronte alla crisi da Covid-19.
In ogni caso, la questione potrebbe non riguardare solo la Royal Academy: è ancora possibile considerare le opere delle collezioni permanenti, almeno quelle unanimemente riconosciute come dei capolavori, come patrimonio inalienabile dei musei? In effetti, la risposta dipende molto da come consideriamo l’arte. Se si tratta di qualcosa di “pubblico”, cioè di un oggetto il cui “valore” risiede soprattutto nella sua capacità relazionale e di condivisione, allora la risposta è inequivocabile. D’altra parte, nel caso specifico, perdere 150 posti di lavoro sarebbe una disfatta clamorosa – una sorta di Whirlpool d’oltremanica – da evitare a ogni costo. Ma a quale costo?
La proposta di vendere il Tondo Taddei è certamente una enormità e forse non è un caso che sia stata avanzata proprio questa ipotesi, che non poteva che sollevare un polverone. E smuovere, oltre alle parole, anche le coscienze e, magari, il portafoglio. Almeno di chi può aprirlo.
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